La pandemia da Covid ha riacceso l’esigenza di ripensare alle attuali politiche mondiali sul contrasto del cambiamento climatico, e la recente notizia riguardante il ‘risveglio’ di virus ‘zombie’ dal permafrost ne è un ulteriore prova. Nei giorni scorsi infatti si è parlato di un virus ‘zombie’ portato alla luce in Siberia dalle alte temperature causate dalla crisi climatica, ma la realtà potrebbe essere ancora più complicata e pericolosa.
Che cos’è e perché è importante il permafrost?
Un ruolo chiave in questa vicenda lo gioca il permafrost. A causa del cambiamento climatico, in varie parti del mondo il permafrost si sta disgregando, e ciò potrebbe avere conseguenze devastanti per l’ambiente e la salute pubblica.
Come spiega Focus, il permafrost è un terreno gelato formato da ghiaccio, suolo, roccia e sedimenti composto da 3 strati: quello attrattivo dove, durante l’estate, cresce la vegetazione; quello sempre gelato; lo yedoma, ricco di materiale organico. In genere il permafrost si trova in zone polari o montane (come la Siberia, appunto) e copre 23 milioni di km2 dell’emisfero nord del Pianeta.
Attualmente il riscaldamento globale (argomento tornato alla ribalta grazie a Ultima Generazione) sta minacciando il permafrost stesso, il cui disgelo comporta conseguenze particolari: aumenta il termocarsismo, cioè il suolo appare irregolare con bacini paludosi e piccoli monticelli tanto da assomigliare alle regioni carsiche; i laghi nati dal disgelo veloce sono responsabili di emissioni di metano e altri gas serra notevoli. A essere sotto esame è proprio il rilascio del metano, un gas serra che peserebbe fortemente sul riscaldamento della Terra.
Perché si sta parlando dei virus zombie?
Fatta questa dovuta premessa, veniamo al caso della settimana, le cui radici affondano in un approfondimento della CNN di mercoledì 8 marzo 2023, in cui viene analizzato come la crisi climatica, con conseguente disgelo del permafrost, potrebbe comportare il risveglio di virus zombie o “dormienti” pericolosi per l’uomo, gli animali, l’ecosistema globale e la salute pubblica. Insomma, una questione da attenzionare seriamente.
Come sottolinea la CNN, il permafrost è una “capsula del tempo” capace di conservare antichi virus, resti mummificati di animali estinti e anche resti umani. Le temperature artiche però stanno aumentando fino a quattro volte più velocemente rispetto al resto del Pianeta, come riporta una ricerca su Nature, e questo indebolisce lo strato superiore del permafrost, portando alla luce possibili minacce per l’uomo.
Nel 2012 un team di scienziati russi catturò l’attenzione globale per il risveglio di un fiore selvatico di 30mila anni fa trovato nella tana di uno scoiattolo. Una notizia che diede l’ispirazione a Jean-Michel Claverie, professore emerito di medicina e genomica presso la Scuola di Medicina dell’Università di Aix-Marseille a Marsiglia (Francia), di cercare eventuali cellule particelle virali all’interno del permafrost, scoprendo nel caso se fossero ancora infettive.
Le ricerche di Claverie hanno avuto successo, tanto da aprire un filone enorme sulle possibili e devastanti conseguenze che il disgelo del permafrost comporta per l’essere umano. Ad esempio nel 2014 è riuscito a ‘risvegliare’ un virus isolato dal permafrost, rendendolo infettivo in cellule in coltura. Per sicurezza infatti, lo scienziato ha cercato virus che potessero colpire solo amebe unicellulari, e non animali o umani.
Nel 2015 ha replicato l’esperimento, isolando tipi di virus che attaccano le amebe. Ma il 18 febbraio scorso, come pubblicato sulla rivista Viruses, Clavarie è riuscito a isolare ceppi di virus antichissimi, tra i 27mila e i 48.500 anni d’età, prelevati da sette luoghi diversi in tutta la Siberia (come laghi sotterranei e resti di mammut), dimostrando che sono ancora capaci di infettare cellule di ameba in coltura.
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Cosa rischia l’uomo con i virus zombie e quanto dobbiamo preoccuparci?
Al momento i virus ‘zombie’ risvegliati non sono pericolosi per l’uomo, tuttavia queste ricerche non escludono che un giorno, se il riscaldamento globale dovesse continuare a erodere il permafrost, potrebbe riemergere un virus così vecchio da generare una pandemia che il nostro organismo non saprebbe fronteggiare.
Claverie alla CNN parla di “un problema potenzialmente più grande”, riferendosi al fatto che tali virus sono ancora contagiosi. Inoltre, teme che la sua ricerca venga considerata alla stregua di una interessante curiosità, mentre è chiaro che la rinascita di un virus ‘zombie’ comporterebbe una “seria minaccia per la salute pubblica“. “Vediamo questi virus che infettano l’ameba come surrogati di tutti gli altri possibili virus che potrebbero trovarsi nel permafrost”, ha affermato Claverie.
“Vediamo le tracce di molti altri virus – ha aggiunto -. Quindi sappiamo che sono lì. Non sappiamo per certo che siano ancora vivi. Ma il nostro ragionamento è che se i virus dell’ameba sono ancora vivi, non c’è motivo per cui gli altri virus non siano ancora vivi e in grado di infettare i propri ospiti”.
A conferma di questa teoria c’è un fatto realmente accaduto: per fare un esempio, nel 1997 in un villaggio della penisola di Seward, in Alaska, fu riesumato un campione di polmone di una donna che conteneva materiale genomico del ceppo influenza responsabile della pandemia del 1918.
Birgitta Evengård, professoressa emerita presso il Dipartimento di microbiologia clinica dell’Università di Umea (Svezia), ha evidenziato che servirebbe una maggiore sorveglianza su questo tema, ma ci tiene a non avere un approccio allarmistico: “Devi ricordare che la nostra difesa immunitaria è stata sviluppata a stretto contatto con l’ambiente microbiologico”.
Tuttavia ha aggiunto che “se c’è un virus nascosto nel permafrost con cui non siamo stati in contatto per migliaia di anni, potrebbe essere che la nostra difesa immunitaria non sia sufficiente. È corretto avere rispetto della situazione ed essere propositivi e non solo reattivi. E il modo per combattere la paura è avere conoscenza”.
Insomma, la situazione è da tenere sott’occhio. Al momento, non sappiamo quando questi virus ‘zombie’ potrebbero riesumare e quanto potrebbero essere infettivi, anche perché non tutti gli agenti patogeni nel permafrost potrebbero causare malattie, alcuni potrebbero essere addirittura benigni. Inoltre l’Articolo è popolato da ‘sole’ 3,6 milioni di persone, perciò il rischio di esposizione umani a virus antichi è relativamente basso.
L’incedere del riscaldamento globale però potrebbe aggravare velocemente lo scenario, come affermato dallo stesso Claverie: “Lo scongelamento del permafrost continuerà ad accelerare e più persone popoleranno l’Artico sulla scia delle iniziative industriali”, aumentando quindi i rischi.
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