Scopriamo come riconoscere e denunciare la violenza sulle donne con disabilità e quali sono i limiti di un fenomeno ancora troppo sommerso
Ogni anno l’8 marzo e il 25 novembre sono due date simbolo che puntano a sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo l’emergenza della violenza sulle donne, una dinamica barbarica e mostruosa che ancora oggi sembra lontana dall’essere debellata.
Un dato positivo, però, emerge dalla consapevolezza sul tema. Per fare un esempio, oggi sappiamo che la violenza fisica non è l’unica forma di abuso: di fatto nel 2015 l’Istat riconosceva 5 tipi di violenza sulle donne: fisica, psicologica, economica, sessuale, molestie e persecuzioni (stalking), presenti anche online (come il Revenge Porn). Inoltre personaggi pubblici e influencer sono sempre più inclini ad affrontare l’argomento, diffondendo la consapevolezza che nessuna donna è sola.
Un dato negativo, invece, riguarda la violenza sulle donne con disabilità, fenomeno sommerso fino a qualche anno fa per svariati motivi, come lo stereotipo secondo cui una persona con disabilità sia incapace di avere una propria sessualità. Ma non è l’unico fattore che rende questa tematica poco dibattuta.
“Nel 2016 anche la Commissione ONU ha redarguito l’Italia proprio per mancanza di adeguata attenzione a tale fenomeno, ancora adesso non esistono norme ufficiali, effettive e valide contro la violenza sulle donne con disabilità”. È quanto affermato da Silvia Lisena del Gruppo Donne Uildm, e non ha tutti i torti.
Oltre alla questione normativa, a mancare attualmente è un quadro statistico nazionale aggiornato. In merito all’argomento vengono spesso citati alcuni dati Istati del 2014, cioè di quasi 10 anni fa: “ha subìto violenze fisiche o sessuali il 36% di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6% di chi ha limitazioni gravi. Il rischio di subire stupri o tentati stupri è doppio (10% contro il 4,7% delle donne senza problemi)”. Insomma, un problema nel problema.
A tentare di mettere una toppa a questa situazione ci hanno pensato altri. Nel 2022 la FISH, con il progetto VERA, ha raccolto 519 questionari di donne con disabilità, scoprendo che 171 donne (pari al 33%) hanno dichiarato di “aver subito violenza in qualche forma da parte del partner attuale o di un ex, di un familiare, di un conoscente, di uno sconosciuto o di un operatore”. A rendere ancora più complicato il quadro ci sono altri due dati:
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Gli autori della violenza sulle donne con disabilità vengono mal-rappresentati dalla società, figure figlie di preconcetti e ideologie che non aiutano a rappresentare la realtà. Fortunatamente, in nostro aiuto, ci sono esperti e statistiche.
Lisena del Gruppo Uildm sottolinea che “i carnefici sono molteplici” e sono per lo più persone note alla vittima, e “non solo partner di sesso maschile, ma anche per esempio caregiver, quindi anche i genitori, gli assistenti personali oppure anche operatori in campi sociali o sanitari, per esempio fisioterapisti, personale medico, volontari di centri ricreativi.
Dichiarazioni che trovano conferma nel documento FISH sopracitato, dove viene evidenziato che l’autore delle violenze nell’80% dei casi “è una persona nota alla vittima“, mentre il 51% parla di una “persona affettivamente vicina, ossia il partner, attuale o passato, o un altro familiare”. Invece il 21% delle vittime parla di un conoscente, l’8% di un operatore e il restante 20% di uno sconosciuto.
Ogni vittima ha una storia che racconta un tassello dell’orribile violenza sulle donne con disabilità, che può variare proprio in base alla condizione o alla disabilità della donna stessa. Nell’indagine VERA emerge che “l’82% delle donne con una limitazione cognitiva/intellettiva e l’85% di quelle con una disabilità psichiatrica” hanno subìto almeno una forma di violenza.
Troviamo anche il 74% delle donne che presentano disabilità plurima hanno subìto violenza, un dato che scende al 64% per chi presenta solo una disabilità. A incidere è anche il proprio status: le donne disabili che abitano da sole, o con il loro assistente, “dichiarano più sovente violenza (73%), rispetto a quelle che vivono col partner o con i genitori (rispettivamente 60% e 64%)”.
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In un’intervista ad Ability Channel, la content creator Silvia Botticelli ha raccontato di esser stata vittima di una discriminazione: “Da quando ho aperto Tik Tok sono stata contatta da molti uomini che erano attratti da me solo per la mia invalidità, ed erano arrivati al punto di offrirmi dei soldi”, semplicemente per capire “cosa significa andare con una persona disabile”. Da questa storia capiamo che le varie forme di violenza hanno sottocategorie molto sottili, alle volte difficili da individuare, e che sono ancor più complicate da denunciare.
“La denuncia dei casi da parte delle donne con disabilità è veramente, veramente difficile, soprattutto per i casi di violenza sulle donne con disabilità intellettiva – chiarifica Lisena del Gruppo Donne Uildm -. La difficoltà maggiore in generale per le donne con disabilità è quella di non essere credute, perché dall’altra perte di potrebbe essere qualcuno che nega addirittura la possibilità che le donne con disabilità subiscano violenza fisica, psicologica, verbale o sessuale”.
Ma, in quanto persone con disabilità, ci sono discriminazioni ancora più evidenti, come “l’inaccessibilità dei centri anti-violenza: non parlo soltanto di barriere architettoniche, ma parlo anche di barriere di altro tipo, per esempio mancanza di interpreti LIS o di scritte in Braille”.
A ogni modo, i limiti che rallentano una donna a denunciare casi di violenza devono essere eliminati anche (e soprattutto) attraverso un’informazione consapevole. Se ritieni di essere o di esser stata vittima di violenza, chiama immediatamente il 1522, “anche perché adesso – sottolinea Lisena – si stanno sviluppando metodi di contatto più inclusivi”.
“E poi – conclude – rivolgersi al centro anti-violenza più vicino e rivolgersi al più presto e avere fiducia in un’accoglienza, in un pronto intervento da parte delle operatrici di anti-violenza. Perché le donne con disabilità devono avere sempre la consapevolezza di non essere mai sole e che sarà sempre possibile ricevere aiuto“.
Ultima modifica: 20/03/2023