Da quella inglese alla Delta, le varianti virali della pandemia da Covid stanno generando preoccupazione in tutto il mondo. I rapidi mutamenti della Sars-Cov-2 non danno tregua, anche a causa di un’informazione allarmistica che, a ogni variante, genera apprensione sul ruolo e sull’efficacia dei vaccini.
Come mai la variante di un virus mette in apprensione l’intero genere umano? Per capirlo, dobbiamo conoscere il nemico e scoprire se le paure sono fondate.
Che cos’è un virus e come si riproduce?
Prima parlare della varianti virali, partiamo dalle basi. Un virus è un microorganismo semplice (di 0.02 μm, massimo 1 μm di dimensione) composto da un acido nucleico (DNA o RNA virale), che contiene il patrimonio o materiale genetico, e da un rivestimento proteico (capside virale), utile per agganciarsi ai recettori della cellula ospitante – che il nostro sistema immunitario riconosce come prima minaccia e attacca con la produzione di anticorpi.
Un virus non è in grado di riprodursi da solo, ma necessita sempre di cellule di un altro organismo. Questo parassita intracellulare obbligato infatti fornice solo alcuni materiali alla cellula vivente per la riproduzione, come la propria informazione genetica.
Nel dettaglio, il materiale genetico contenuto nell’acido nucleico viene codificato dal rivestimento proteico e da altri enzimi utili alla replicazione. Una volta agganciato il recettore della cellula vivente, quest’ultima metterà al servizio il resto degli strumenti (come la sintesi proteica) per la replicazione. Nel caso del Covid, la proteina Spike del virus si allaccia al recettore ACE2, la “porta” che permette al patogeno di replicarsi.
Una volta che la moltiplicazione è conclusa, la cellula ospitante muore, non prima però di aver rilasciato la progenie del virus. Ci sono casi invece, come per la famiglia degli herpevirus, in cui il virus resta latente nell’organismo in attesa di un fattore scatenate (stress o debolezza immunitaria): è il caso del citomegalovirus.
L’infezione di un virus può essere di origine batterica, animale o vegetale, e causa malattie, febbre, raffreddore e tosse. Inoltre può essere il fattore scatenante di endemie e pandemie.
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I virus possono mutare e cambiare, e la condizione necessaria perché ciò avvenga è la replicazione. Può capitare infatti che, dalla moltiplicazione del virus, nascano delle copie genetiche “sbagliate”, dei veri e propri errori (note come mutazioni) che possono dare origine a nuovi processi di replicazione, e così a varianti virali.
Le varianti virali non sono nuovi ceppi di virus, in quanto dovrebbero essere totalmente differenti dalla copia originale in base a tre fattori: come eludono il sistema immunitario dell’ospite, come causano una malattia e in che modo resistono ai farmaci. A mutare è soprattutto il patrimonio genetico, causando a sua volta una mutazione della capside virale.
In genere le varianti virali non sono pericolose, in quanto la mutazione di un virus è parte della sua stessa esistenza evolutiva. Le mutazioni che non cambiano in maniera radicale la struttura e le caratteristiche del virus, non producono una variante pericolosa.
Tuttavia alcune mutazioni possono generare una variante del virus con più velocità di diffusione dell’infezione, poiché il cambiamento dell’involucro esterno del patogeno (il rivestimento proteico) è stato particolarmente decisivo.
Se cambia la capside virale, quindi, si modificano anche le proteine, e dunque l’organismo potrebbe avere maggiore difficoltà a riconoscere la minaccia esterna e a produrre specifici anticorpi. Dall’altra parte, invece, le varianti riescono a mimetizzarsi meglio nell’ambiente ospite e a diventare così il dominante (come sta accadendo con la variante Delta del Covid).
L’Istituto Superiore di Sanità spiega che la condizione base per la nascita delle varianti virali è nella replicazione. Perciò il terreno fertile per la moltiplicazione di un virus è:
- l’infezione prolungata: il virus può mutare all’interno della persona, e spesso ciò accade in individui immunodepressi;
- l’elevato tasso di diffusione e replicazione del virus: più il virus circola, più le possibilità di mutazioni aumentano;
- la pressione selettiva della risposta immunitaria, dei vaccini o dei farmaci: la variante del virus può resistere proprio perché le difese si concentrano sul primo virus e non sulla sua evoluzione.
Dunque, per evitare la nascita di varianti virali, serve bloccare la diffusione del virus, e quindi raggiungere l’immunità di gregge grazie all’uso dei vaccini. E proprio sui vaccini, l’ISS specifica che “un ciclo completo di vaccinazione (prima e seconda dose) con i quattro vaccini approvati è in grado di conferire protezione nei confronti delle principali varianti circolanti”.
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Nel corso del primo anno di pandemia sono state evidenziate numerose varianti virali del Covid, seppure nessuna ha determinato la nascita di un nuovo ceppo. Alcune di queste, però, destano preoccupazione, in quanto la proteina Spike è mutata e ciò ha fatto nascere dei dubbi (al momento infondati) sull’efficacia dei vaccini attualmente in circolazione. Abbiamo:
- variante inglese B.1.1.7 (nota anche come Alfa), isolata in Gran Bretagna nel settembre 2020: è più contagiosa e la gravità della malattia è maggiormente elevata;
- variante sudafricana B.1.351 (nota anche come Beta), isolata in Sud Africa nell’ottobre 2020: si trasmette più velocemente e dimostra meno sensibilità ai vaccini;
- variante brasiliana o giapponese P.1 (nota anche come Gamma), prima Brasile e poi in Giappone nel gennaio 2021: ha caratteristiche simili alla variante sudafricana;
- variante indiana B.1.617.2 (nota anche come Delta), isolata in India nel 2021: si trasmette più velocemente della variante Alfa e potrebbe diventare la variante del Covid dominante.