Il 22 dicembre 2020 l‘Africa Centers for Disease Control and Prevention (Africa CDC) ha reso nota l’esistenza di una variante sudafricana del Covid-19. Dopo quella inglese, il mondo si appresta a combattere una nuova forma del virus segnalata in Sud Africa, nel Regno Unito e in Finlandia. Dobbiamo preoccuparci?
Perché si parla di variante sudafricana del Covid?
Il primo caso accertato di contagio da variante sudafricana del Covid è stato riscontrato a Nelson Mandela Bay (SudAfrica) e, come riportato dal comunicato di Africa CDC, si ipotizza che la diffusione di tale variante sia avvenuta “attraverso i promontori orientali e occidentali, nonché nel KwaZulu-Natal”.
Per questo motivo, la Gran Bretagna ha imposto alcune restrizioni per gli arrivi dal Paese africano, oltre a mettere in quarantena chiunque abbia viaggiato lì nelle ultime 2 settimane. Il ministro britannico della Salute, Matt Hancock, si è detto particolarmente “preoccupato per la variante sudafricana”.
Quanto ne sappiamo sulla variante sudafricana 501.V2
Prima di rispondere a questa domanda, breve ripasso. Come abbiamo capito con il caso inglese, i virus possono mutare. Tali mutazioni sono causate dal fatto che un virus entra in contatto con le cellule umane per replicarsi. Alcune di queste mutazioni possono risultare ‘sbagliate’, e dare vita così a un accumulo di ‘errori’ che possono produrre nuovi processi di replicazione, creando appunto delle varianti.
Le varianti non sono nuovi ceppi, in quanto per essere tali dovrebbero diversificarsi completamente dal ceppo originale in base a come eludono il sistema immunitario, a come causano una malattia e a come resistono ai farmaci. Non siamo di fronte alle prime tipologie di varianti, sebbene quest’ultime stanno facendo incredibilmente notizia.
Quindi, che cos’è la variante sudafricana del Covid? Al momento sappiamo che viene associata a quella inglese, in quanto condividono la mutazione N501Y nella proteina spike (che il virus usa per attaccarsi alle cellule umane): sappiamo che tale mutazione facilita il legame tra la proteina sopracitata e il recettore Ace2, quindi il Covid si legherebbe più velocemente alle cellule umane. Tale dettaglio è alla base dell’ipotesi secondo cui la variante sudafricana sarebbe molto contagiosa, e dunque responsabile della seconda ondata nel Paese africano.
Oltre a una maggiore trasmissibilità, si pensa altresì che la variante sudafricana abbia una carica virale più elevata rispetto a quelle circolanti. Anche qui, però, non c’è una certezza scientifica, servono maggiori dati.
In aggiunta, non sappiamo se causano malattie più gravi, proprio perché non abbiamo analisi certe e sufficienti per affermare ciò. Tra l’altro, bisogna rammentare che un virus non intende uccidere il proprio ospite, ma vuole usarlo per diffondersi: ha come scopo biologico la propria crescita.
Inoltre sono in corso delle ricerche per comprendere se tale variante avrà determinati impatti sui testi diagnostici attualmente in uso. Insomma, il quadro è analogo a quello presentato dalla variante inglese.
Leggi anche: Dobbiamo preoccuparci delle reazioni allergiche al vaccino Covid?
La variante sudafricana resiste al vaccino?
Attualmente non c’è una risposta certa. È impossibile asserire con certezza che gli attuali vaccini messi in circolazione contro il Covid non sono in grado di contrastare la carica delle nuove varianti.
In un report del 29 dicembre 2020, l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ha specificato che non esistono abbastanza informazioni per determinare se la variante sudafricana limiti l’efficacia dei vaccini in circolazione. Nelle prossime settimane nuovi studi potranno dirci di più.
Infine John Bell, docente di medicina dell’Università di Oxford e membro della task force del governo inglese sui vaccini, ha cercato di rasserenare gli animi, spiegando che – come riporta la BBC – è molto “improbabile” che questa variante “disattivi completamente l’effetto dei vaccini”. E anche se ciò dovesse accadere, Bell sottolinea che la modifica di un vaccino richiede comunque un tempo molto breve: dalle 4 alle 6 settimane.
Leggi anche: Positivo dopo vaccino Covid: c’è da preoccuparsi?