La variante inglese del Covid sta creando la paura di un nuovo ceppo virale: è una preoccupazione fondata? Cerchiamo di capirne qualcosa
Non facciamo in tempo a comprendere qualcosa in più sul nuovo virus che subito spunta una variante Covid che diffonde apprensione e preoccupazione. Sentimenti che, nel corso degli ultimi giorni, hanno generato un caos informativo su larga scala. Quest’oggi metteremo a fuoco alcune delle più importanti informazioni sul tema per capire se dobbiamo o meno preoccuparci.
Prima di parlare approfonditamente del Coronavirus mutato, facciamo un passo indietro nella storia. Lunedì 14 dicembre 2020 il ministro della Salute del Regno Unito, Matt Hancock, ha dichiarato che nel Kent, nel sud dell’Inghilterra, è stata individuata una variante del virus Sars-CoV-2 ritenuta possibilmente pericolosa in quanto, secondo alcuni dati preliminari, si diffonderebbe più velocemente.
La variante in questione è stata rinominata B.1.1.7 o VUI-202012/01 (“Variant under investigation”) e la sua diffusione ha fatto preoccupare diversi Paesi limitrofi al Regno Unito, tanto da vietare voli in entrata e in uscita dall’UK. Nonostante queste misure, si ritiene comunque che il virus circoli già – con una minor incidenza – in altre nazioni: ad esempio, in Italia è stato isolato un caso al policlinico del Celio e ci sarebbero altri 6 sospetti.
D’altra parte anche il Regno Unito ha inasprito le proprie misure contro il contagio da Covid, soprattutto nel sud-est dell’Inghilterra e a Londra, anche in vista delle festività invernali. Misure che sono state annunciate in una conferenza stampa di sabato 19 dicembre 2020 dal primo ministro britannico Boris Johnson, che ha giustificato questa svolta spiegando che “quando il virus cambia il suo metodo di attacco, dobbiamo cambiare il nostro metodo di difesa”.
Ma quali sono i dati attualmente in nostro possesso? Bloomberg, citando funzionari del governo britannico, spiega che i tassi di casi di Covid-19 a Londra sono quasi raddoppiati solo nell’ultima settimana. Inoltre, il 60% delle infezioni sarebbe attribuibile alla nuova variante di Coronavirus.
Principalmente a preoccupare gli esperti è la trasmissione di questo virus, che sarebbe il 70% più trasmissibile del Covid di Wuhan. Tale aumento di velocità potrebbe determinare a sua volta un incremento dell’indice Rt, determinando quindi uno sviluppo dei contagi rilevati, causando un’ulteriore difficoltà di tracciamento e una probabile saturazione delle terapie intensive.
Nonostante il caso sia divenuto noto a dicembre, molti esperti sono concordi sul fatto che la variante del virus circolasse già da settembre 2020, con un’evoluzione avvenuta durante l’estate. Di fatto, il genoma è stato sequenziato per la prima volta nel Regno Unito il 20 settembre 2020, e sarebbe alla base di circa il 26% dei nuovi casi positivi registrati nel Paese britannico.
Nel mentre, come si legge su il Fatto Quotidiano, una ricerca in via di approvazione del genetista Federico Giorgi dell’Università di Bologna svelerebbe anche che tale variante circolasse già negli Stati Uniti d’America e in Australia.
Prima di capire in che modo il Covid-19 sia mutato, vale la pena fare una precisazione. Sì, i virus possono mutare e cambiare, e lo abbiamo constatato anche all’inizio della pandemia con il salto di specie.
Tale evoluzione compromette un organismo, in quanto l’ospite infettato può non avere le difese immunitarie adeguate a contrastare il virus. La spiegazione è molto più complessa e approfondita, ma c’è da tenere a mente questo concetto: i virus mutano.
Queste mutazioni sono causate dal fatto che, per replicarsi, un virus ha bisogno di entrare in contatto con le cellule umane. Queste copie non vanno spesso a buon fine, e quindi mutazioni genetiche ‘sbagliate’ possono accumularsi e produrre nuovi processi di replicazione, creando quindi delle varianti (Il Post).
Queste varianti non devono essere considerate dei veri e propri nuovi ceppi, in quanto un ceppo virale per definirsi tale deve differire completamente dal ceppo originale in base all’attività, cioè a come elude il sistema immunitario, a come causa una malattia e a come resiste ai farmaci.
Di mutazioni e varianti il Covid ha già dato un’ampia dimostrazione. Se ci dovessimo riferire al processo in sé, non stiamo scoprendo qualcosa di nuovo. Basti pensare che a luglio 2020 erano già state registrate 12 mila varianti del Covid con una o più mutazioni.
Veniamo ora al caso inglese. Come abbiamo visto, non è la prima volta che il Coronavirus muta, ma solo adesso la situazione sembra preoccupare gli esperti. Come mai?
Rispetto agli altri cambiamenti registrati, la variante B.1.1.7 avrebbe maggiore necessità a essere controllata in quanto, secondo uno studio preliminare, a colpire è la velocità con cui ben 17 mutazioni (rispetto al Covid originario di Wuhan) si sono accumulate in un’unica variante. Questa è la caratteristica a non essere mai stata notata: è la prima volta che vengono identificate così tante mutazioni in un unico momento.
Com’è stato possibile che ciò accadesse? L’ipotesi più accreditata sull’origine della variante inglese risiederebbe in una persona con un sistema immunitario indebolito che ha convissuto per tanto tempo con il Coronavirus. Tale organismo sarebbe stato incapace di uccidere il virus, ma altresì gli ha permesso di evolversi più rapidamente del solito. Così diverse mutazioni sarebbero entrate in competizione tra loro, portando alla creazione della variante B.1.1.7.
Fin qui abbiamo capito che le mutazioni possono creare determinati cambiamenti significativi in un virus. Nel caso attualmente noto, si suppone che a cambiare è la forma della proteina Spike, che consentirebbe alla variante inglese del Covid di legarsi più facilmente alle cellule umane, cioè di avere l’opportunità di replicarsi e diffondersi più velocemente.
Nel dettaglio, ci sono ben 2 delle 17 mutazioni che preoccupano gli esperti:
Queste due mutazioni potrebbero spiegare come mai il virus sia ritenuto più forte in termini di circolazione e diffusione. Insomma, la variante inglese del Covid sarebbe maggiormente trasmissibile a causa dei 2 elementi sopracitati.
Ciò potrebbe comunque comportare delle conseguenze negative, in particolare sui test per Coronavirus, in quanto il Covid mutato ne comprometterebbe l’esito. L’allarme è stato lanciato dall’Oms, ma ancora non è stato confermato ufficialmente, in quanto le analisi finora studiate non si basano su ricerche di laboratorio.
Vale la pena soffermarsi su questo dato: al momento non c’è una certezza scientifica conclusiva riguardo a questo Coronavirus mutato, ecco perché ogni comunicazione va presa con le dovute pinze finché non verrà diffusa una certezza scientifica in materia.
E quindi le precauzioni finora adottate contro il contagio da Covid non valgono più? Sebbene si ipotizzi che a cambiare è ‘solo’ la velocità di trasmissione del virus, le regole per evitare il contagio restano le stesse: mascherina, distanziamento e costante lavaggio delle mani sono armi ancora necessarie.
La virologa dell’Istituto Superiore della Sanità Paola Stefanelli ha confermato a La Repubblica che non possiamo parlare di “successo biologico”, cioè “se le mutazioni la renderanno (la variante, ndr) più capace di sopravvivere”. Anche perché “altre varianti del passato sono scomparse”. Insomma, è bene predicare cautela e non farsi prendere dal panico.
A mitigare gli animi ci ha provato anche il consigliere scientifico del ministro della Salute per l’emergenza Covid Walter Ricciardi, il quale in un’intervista del 21 dicembre 2020 a Un giorno da Pecora ha sottolineato che “questo virus ha la stessa aggressività del precedente, è soltanto la contagiosità che aumenta molto, addirittura del 70%, e quindi si trasmette con molta più facilità”. In che senso è più contagioso? “Le mutazioni di cui si parla hanno dato al virus la capacità di penetrare meglio all’interno delle nostre mucose, in particolare attraverso il naso”.
Perché allora Londra ha registrato così alti picchi di contagio? Secondo Ricciardi, il problema sta nelle misure di contenimento, agli inizi di dicembre 2020 troppo lente: “Non hanno imposto quelle misure, come l’obbligo delle mascherine, per prevenire del contagio”.
Queste dichiarazioni confermano un altro dettaglio: ad aumentare è la contagiosità del virus, non la virulenza, cioè la sua capacità a uccidere di più. Non possiamo quindi affermare con certezza che il Covid sia diventato più forte in termini di letalità.
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Teoricamente parlando, non abbiamo una certezza scientifica assoluta sulla natura della variante inglese del Covid. Al momento, il quadro delle analisi si muove su dati più computerizzati che di laboratorio.
Tra diverse settimane, dopo che verranno condotte alcune indagini su chi ha contratto questo Covid mutato e con i test di laboratorio, ne sapremo molto di più. In pratica, la scienza si sta muovendo come accaduto per la prima ondata del Covid – solo che in questa occasione abbiamo a disposizione gli strumenti adeguati per proteggerci.
Tale quadro quindi non ci può aiutare a dire con certezza se il virus si sia fortificato, se produca sintomi più gravi o malattie più letali: sono solo congetture prive di qualsivoglia fondamento scientifico.
Oltretutto, vale la pena ricordare che l’obiettivo di un virus è crescere e diffondersi, non uccidere il proprio ospite. Perciò, come esposto dal virologo Carlo Federico Perno a IlSole24Ore, tutti i virus provano a migliorare la propria “capacità di infettare”, in quanto hanno come “obiettivo biologico quello di crescere”.
Anche qui non possiamo dare una risposta precisa, proprio per la mancanza di dati scientificamente attendibili. A ogni modo, nella mattinata di martedì 22 dicembre 2020, Pfizer e Moderna hanno fatto sapere che stanno verificando la validità dei propri vaccini contro la variante inglese.
In generale, però, entrambe le aziende si sono dette ottimistiche e fiduciose per i risultati. In contemporanea, l’OMS Europa ha annunciato una riunione straordinaria con gli Stati membri per capire quale strategia usare contro questa nuova variante di Covid-19.
In base a quanto spiegato da Internazionale, comunque, il fatto che al momento siano stati approvati vaccini messaggeri a mRna non dovrebbe cambiare troppo la situazione attuale: nel caso in cui, infatti, la variante inglese dovrebbe determinare un cambiamento importante, andrebbero semplicemente sostituire le informazioni contenute in un vaccino.
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Ultima modifica: 05/01/2021