La SLA è una malattia rara che colpisce le cellule addette al controllo dei muscoli. Scopri quali sono sintomi, cause e le possibili cure
La Sclerosi Laterale Amiotrofica o Sclerosi Amiotrofica Laterale (in inglese Amyotrophic Lateral Sclerosis), più comunemente conosciuta con la sigla SLA, è una malattia rara degenerativa ereditaria che colpisce le cellule cerebrali preposte al controllo dei muscoli, compromettendo progressivamente i movimenti della muscolatura volontaria.
Come ogni malattia, la SLA presenta un decorso variabile da persona a persona, nonostante il suo carattere invalidante e la prognosi spesso negativa.
La SLA, conosciuta anche con il nome di Morbo di Lou Gehrig (dal nome di un giocatore di baseball la cui condizione, nel 1939, sollevò l’attenzione pubblica), è una malattia rara. In Italia presenta un’incidenza di circa 2/3 casi su 100 mila persone ogni anno.
In genere si manifesta in soggetti con età superiore ai 40 anni, con maggiore frequenza nei maschi rispetto alle femmine. La genesi della SLA è ancora sconosciuta, sebbene sia ormai accertato che non è dovuta a una singola causa, trattandosi, al contrario, di una malattia determinata da diversi fattori (origine multifattoriale).
L’acronimo SLA indica la Sclerosi Laterale Amiotrofica.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica presenta un esordio subdolo, tanto che spesso i sintomi iniziali vengono ignorati. Tra i primi, si riconoscono:
Circa il 75% delle persone affette da SLA sperimenta la malattia con un “esordio ad un arto”. Può accadere che i sintomi della Sclerosi Laterale Amiotrofica vengano avvertiti per primi su una delle gambe e che la persona se ne accorga quando cammina, corre o perché inciampa più spesso.
Nel caso in cui l’esordio colpisca un braccio, potrebbero presentarsi difficoltà ad eseguire anche i compiti più semplici. Azioni come, ad esempio, allacciarsi le scarpe o girare la chiave nella serratura della porta di casa.
La progressiva debolezza muscolare ha diverse conseguenze: gli oggetti cadono spesso dalle mani, c’è incertezza nell’uso delle gambe, difficoltà nel lavarsi e nel compiere semplici gesti di vita quotidiana. Il cambiamento del timbro della voce è conseguente alla difficoltà di movimento della lingua.
Alcune persone possono presentare labilità emotiva che si manifesta attraverso attacchi di riso incontrollato o di pianto. Con il progredire della malattia aumentano i muscoli che sono compromessi, come quelli della deglutizione o della respirazione: la persona presenta affanno facilmente, anche nel compiere i movimenti più semplici o gli sforzi più lievi.
La SLA è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni. Parliamo di un gruppo di cellule cerebrali e del midollo spinale preposte al trasferimento dei segnali che favoriscono, in modo diretto o indiretto, la contrazione dei muscoli in tutto il corpo, permettendo così i movimenti della muscolatura volontaria.
Esistono due gruppi di motoneuroni, e la SLA è caratterizzata dal fatto che entrambi vanno incontro a degenerazione e poi a morte, la quale avviene in modo graduale.
I primi segni della malattia compaiono quando i motoneuroni superstiti non sono più in grado di compensare la perdita progressiva degli altri, arrivando così ad una perdita progressiva di forza muscolare con risparmio, nella maggior parte dei casi, delle funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e sfinteriali (intestinali e vescicali).
Le numerose ricerche scientifiche in merito hanno evidenziato il ruolo di alcuni fattori che concorrerebbero allo sviluppo della patologia:
Circa il 5% dei casi di SLA è a trasmissione ereditaria diretta. Finora sono stati identificati 5 geni diversi, la cui mutazione o malfunzionamento causano la malattia: SOD1, TARDBP, FUS, OPTN, e VCP. I geni ad oggi noti sono responsabili di circa 1/4 dei casi familiari. Quindi di circa 1-2% dei casi totali. Di recente si è aggiunto un nuovo gene (C9ORF72) che sembra responsabile di una parte sostanziale, se non della maggior parte, dei casi familiari.
Più recente è l’individuazione di un gene che potrebbe essere il principale indiziato alla base delle forme familiari della SLA. Si chiama Matrin3 ed è localizzato sul cromosoma 5. Sulla rivista Nature Neuroscience, infatti, sono stati pubblicati i risultati della ricerca italo-americana conclusasi nel 2014 che ha portato allo scoperta di questo gene. Lo studio ha coinvolto i ricercatori del National Institutes of Health di Bethesda (Washington) e gli italiani del Consorzio Italsgen, tra i quali Adriano Chiò, neurologo all’Ospedale Molinette di Torino.
Per lo studio sono stati arruolati 108 soggetti, di cui 32 italiani. I ricercatori sono stati in grado di mettere in evidenza la presenza del gene Matrin 3 in diverse famiglie con più componenti affetti da SLA.
“Questa ricerca ci ha aiutato a capire i meccanismi che conducono al manifestarsi della Sla, almeno nelle forme genetiche, ovvero quando si presenta all’interno della stessa famiglia – spiega Adriano Chiò del Dipartimento di Neuroscienze Rita Levi Montalcini dell’Università di Torino, nonché uno degli autori dello studio -. Tutto questo servirà anche a far luce sulle forme di SLA non ereditaria, che rappresentano la maggior parte dei casi, e sui fattori ambientali che svolgono un ruolo di concausa nell’insorgenza della malattia”, conclude il ricercatore.
Le forme familiari della malattia interessano il 5-10% dei casi, mentre il resto dei casi è classificato come forme sporadiche o non ereditarie caratterizzate da mutazioni genetiche dette “de novo”. Cioè, sviluppate in un secondo momento e non ereditate con il patrimonio genetico dei genitori.
Per la prima volta, grazie ad uno studio statunitense, sembra sia stata individuata la molecola killer (unione di 3 proteine SOD1 attaccate tra loro) responsabile di malattie invalidanti come la SLA, ossia un aggregato di proteine estremamente instabile, reattivo e dalla struttura tridimensionale che “avvelena” il sistema nervoso centrale uccidendo i neuroni del movimento in molti pazienti affetti da SLA, portando alla paralisi.
Questo studio ha aperto nuove strade per approfondire altre malattie neurodegenerative accomunate dalla presenza di aggregati proteici anomali nel cervello umano, come il Parkinson e l’Alzheimer. A fine dicembre 2019, invece, dagli Stati Uniti è arrivata una notizia molto rassicurante: la SLA è stata bloccata nei topi. I ricercatori sono arrivati a questo incredibile risultato utilizzando dell’Rna sintetico.
Nel febbraio 2019, l’Ospedale Molinette di Torino ha dimostrato l’esistenza di una correlazione genetica tra SLA e LDL, il cosiddetto colesterolo ‘cattivo’. Il risultato ottenuto dalla ricerca evidenzia il fattore di rischio indipendente del colesterolo cattivo per lo sviluppo della SLA. In pratica, hanno identificato i tratti genici che sono alla base della correlazione tra LDL e Sclerosi Laterale Amiotrofica.
Esistono due forme principali di Sclerosi Laterale Amiotrofica:
Invece, quando si parla di SLA familiare, ci si riferisce tre persone proveniente dalla stessa famiglia a cui è stata diagnosticata la malattia – indipendentemente dal grado di parentela. Circa il 5% dei pazienti incorre in tale condizione.
Nonostante sia molto raro (5% entro i 30 anni), tale malattia del motoneurone può comparire anche nei bambini, molto probabilmente a causa di una predisposizione genetica. Anche in questo caso, esistono diverse forme di SLA:
Nessun test o indagine è in grado di diagnosticare definitivamente la SLA, nonostante la presenza di segni di danno sia al primo che al secondo motoneurone sia fortemente indicativa (come possono evidenziare i potenziali evocati e l’elettromiografia).
La diagnosi di Sclerosi Laterale Amiotrofica è basata principalmente sui segni e i sintomi che lo specialista neurologo osserva nel paziente, e su una serie di test che servono per escludere altre malattie. In genere, oltre ad approfonditi esami del sangue e delle urine, i test effettuati comprendono:
Un gruppo di ricercatori italiani ha pubblicato sulla rivista americana Neurology uno studio che dimostra come sia possibile diagnosticare con largo anticipo la SLA. In che modo? Grazie ad un semplice esame di tomografia ad emissione di positroni, la PET, utilizzando un tracciante al glucosio.
La ricerca è stata svolta da Marco Agani dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Cnr di Roma, Adriano Chiò, Direttore del Centro Sla dell’ospedale Molinette di Torino e del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino e Angelina Cistaro, ricercatrice del Centro torinese Pet Irmet. E ha coinvolto ben 195 pazienti ricoverati presso il centro SLA dell’ospedale Le Molinette della Città della Salute di Torino.
Quanto si vive con la malattia di SLA? La prognosi non è mai positiva. Le aspettative di vita della SLA possono variare dai 3 ai 10 anni dal manifestarsi dei primi sintomi. Un ruolo importante per ridurre le sofferenze dei pazienti è dato, oltre che dai pochi farmaci, dall’aiuto e dal sostegno della famiglia. L’insufficienza respiratoria è la causa principale del decesso dei pazienti.
Non si muore esclusivamente di SLA: la vita media delle persone con tale condizione è identica a quella di individui senza patologie. Per cui, indicare un’età precisa è alquanto difficoltoso.
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Allo stato attuale delle conoscenze non è stata individuata una particolare cura contro la SLA. L’unico farmaco specifico che viene utilizzato è il Riluzolo, la cui caratteristica accertata è rallentare la progressione della malattia intervenendo sul metabolismo del glutammato.
Gli altri farmaci impiegati sono finalizzati ad alleviare le manifestazioni più eclatanti e dolorose della malattia. Sulle quali, l’intervento di figure come quella del fisiatra e del fisioterapista cerca di preservare il più a lungo possibile la mobilità articolare.
Nel 2017, invece, l’Italia è stato il primo paese europeo ad aver autorizzato l’uso del Radicut, farmaco i cui benefici sarebbero funzionali in pazienti con determinate caratteristiche: comparsa della malattia da non più di due anni, buona funzionalità respiratoria e disabilità moderata.
Non hanno mostrato alcun effetto nocivo o avverso i primi test di trapianto di cellule staminali cerebrali effettuati su un gruppo di sei malati di SLA. Questa sperimentazione, condotta e coordinata dal Prof. Angelo Vescovi ed autorizzata dall’Istituto Superiore di Sanità, è iniziata il 25 giugno 2012 con il primo trapianto al mondo di cellule staminali cerebrali umane.
Scevre da qualunque problematica etica e morale, poiché provenienti da biopsie di feti deceduti per cause certificatamene naturali. Test terminato con successo il 5 giugno 2015, con il trapianto nel diciottesimo paziente.
Non sono stati rilevati eventi avversi importanti imputabili alla procedura chirurgica o alle cellule trapiantate. Con risultati clinico-chirurgici “significativamente migliori della sperimentazione parallela che si tiene in contemporanea negli Stati Uniti”, riferiscono i ricercatori.
Il 29 settembre 2015 l’Associazione Revert Onlus e l’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, in collaborazione con la Fondazione Cellule Staminali, hanno presentato i risultati del trial clinico di fase I sulla SLA.
Una sperimentazione all’avanguardia nell’ambito delle terapie avanzate con cellule staminali condotta secondo la normativa internazionale vigente e in accordo alle regole EMA (European Medicine Agency), con cellule di grado clinico prodotte in stretto regime GMP (Good Manufacturing Practice) certificate dall’AIFA.
Le cellule sono risultate “sicure e riproducibili”, dopo il trapianto su 18 pazienti. Si chiude dunque la fase I. E si apre la strada al trial clinico di fase II, in cui è previsto il trapianto in 60-80 pazienti SLA.
Un percorso che permetterà di mettere a punto il dosaggio e verificare il grado di efficacia delle cellule staminali cerebrali usate nella prima fase. Il ricercatore Prof. Fabrizio Gelain a Riccarda Ambrosi ci hanno raccontato qualcosa di più in merito alla ricerca.
Molto spesso, SLA e sclerosi multipla vengono confuse tra loro, ma è bene ricordare che siamo di fronte a due patologie differenti.
La SLA è una malattia neurologica legata ai motoneuroni, ovvero le cellule del midollo spinale che determinano e regolano il movimento. La sclerosi multipla, invece, riguarda la perdita della guaina mielinica che ricopre le fibre nervose e questo può avvenire in qualsiasi area del sistema nervoso centrale. inoltre, La sclerosi multipla è molto più frequente e colpisce dieci volte di più rispetto alla SLA (il rapporto è di 10 a 1).
Per comprendere meglio questa differenza, è utile anche guardare i sintomi iniziali della sclerosi multipla negli adulti:
Come per la Sclerosi laterale amiotrofica, anche per la sclerosi multipla le aspettative di vita sono difficilmente quantificabili, in quanto non si muore solamente di questa condizione. Tuttavia, è certo che la vita media di una persona con tale condizione è di poco inferiore a chi non presenta la patologia.
Secondo uno studio epidemiologico del 2019 dell’Istituto Mario Negri di Milano, i calciatori della massima categoria italiana possono contrarre la SLA sei volte di più della popolazione generale. Il rischio diminuisce nelle serie minori (due volte di più). Inoltre, come afferma il dott. Beghi, uno dei medici che ha condotto la ricerca, “[…] se ad ammalarsi di SLA è un ex calciatore, questa persona si ammala molto prima di quella che è l’età abituale di insorgenza della malattia. Con un divario che è di circa di vent’anni”.
Tale ricerca è stata rivista un anno dopo. Gli stessi protagonisti, infatti, hanno confermato nuovamente che “la correlazione tra il gioco del calcio e l’insorgenza della degenerazione neuronale”, mentre hanno escluso “qualsiasi associazione tra le squadre in cui i calciatori avevano militato e l’insorgenza della Sclerosi Laterale Amiotrofica”.
Al momento, in Italia esistono solo due centri di riferimento regionali per i malati di SLA. Il primo, di lunga data, è all’Ospedale Molinette di Torino. Il secondo, invece, approvato da una delibera della Regione Lazio all’inizio di marzo 2019, è al Policlinico Gemelli di Roma.
Ultima modifica: 25/11/2020