Un nuovo aggiornamento spiega che non vi è alcuna relazione tra malattia e squadre in cui gli atleti hanno militato
Nuovo aggiornamento sul fronte SLA e calcio. Una recente ricerca condotta da Elisabetta Pupillo e Ettore Beghi dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCSS di Milano, infatti, ha rivisitato alcune conclusioni dello studio dello scorso anno. In particolare, i nuovi risultati escludono “qualsiasi associazione tra le squadre in cui i calciatori avevano militato e l’insorgenza della Sclerosi Laterale Amiotrofica“.
Sostanzialmente, quindi, a cambiare è un dettaglio rispetto a quanto scoperto nel 2019. Di fatto, il report – condotto assieme a Nicola Vanacore dell’Istituto Superiore di Sanità e all’Associazione Italiana Calciatori (AIC) – conferma nuovamente “la correlazione tra il gioco del calcio e l’insorgenza della degenerazione neuronale”. La rivista scientifica Amyotrphic Lateral & Fronto Temporal Disease ha pubblicato la ricerca.
Inoltre, lo studio specifica che, per gli ex-calciatori, il rischio dell’insorgenza della Sclerosi Laterale Amiotrofica è “2 volte superiore a quella della popolazione generale”. Un dato che aumenta a “6 volte” analizzando solamente la Serie A.
Infine, rispetto a quanto scoperto un anno fa, sono stati individuati 34 casi di SLA: 15 centrocampisti, 9 difensori, 7 attaccanti e 3 portieri.
Tra i risutati ottenuti, Beghi specifica che “le differenze sull’età d’esordio si confermano importanti. I calciatori si ammalano in media a 45 anni, cioè con 20 anni in anticipo rispetto al resto della popolazione. La motivazione purtroppo non è ancora chiara”. E, come rimarca Pupillo, “non vi è alcuna associazione tra le squadre in cui i calciatori hanno militato e l’insorgenza della malattia”.
Una delle domande a cui non abbiamo ancora una risposta è la seguente: perché c’è questa forte incidenza di SLA nel mondo del calcio?
“Altri studi condotti insieme a colleghi europei e americani – spiega Pupillo – ci inducono a pensare che la causa non sia il gioco del calcio in sé, ma una serie di concause, ancora da definire nei dettagli. Tra queste ricordiamo il ruolo dei traumi, l’attività fisica intensiva, una predisposizione genetica e altro ancora. Ogni fattore potrebbe avere un ruolo ad oggi ancora non chiaro”.
Ultima modifica: 01/05/2020