Il qualunquismo non è un prodotto nato oggi. C’è sempre stato e (purtroppo) potrebbe persistere per lungo tempo. Tuttavia, con la ramificazione della libertà d’espressione online, è diventato un vero e proprio problema. Problema da discutere, osservare e combattere. Perché, sì, il qualunquismo genera pietismo e ignoranza, in tantissimi argomenti.
Il qualunquismo online: cosa succede?
Partiamo dai fatti. È il 6 maggio 2019 e sulla pagina Facebook di Iacopo Melio c’è un nuovo post: “Mi hanno segnalato questa pagina che pubblica foto di bimbi e persone malate o con disabilità, chiedendo un ‘Ciao’ nei commenti motivando con: “sono handicappata… nessuno mi vuole… si vergognano di me…” e tanti altri commenti aberranti ‘acchiappa like’ sfruttando disabilità o malattie”.
La pagina in questione si chiama NewsBlogo. E, come scritto nelle informazioni, è “un periodico di informazione online, gratuito, indipendente, che non riceve finanziamento pubblico”. Il profilo in oggetto, però, non pubblica articoli, bensì foto strategiche, finalizzate chiaramente alla ricerca di like, commenti e condivisioni. Tra le altre cose, spuntano immagini di persone con disabilità o pazienti con caratteristiche simili a chi ha appena subito la chemioterapia. Cosa sta succedendo? Il qualunquismo sta mercificando la disabilità.
Questa non è Disabilità Positiva
Un primo approccio superficiale potrebbe sentenziare sulla magnanimità della pagina: non condivide odio, tanto meno pensieri estremisti. Ci sono delle foto di individui (con autorizzazioni?) alla ricerca disperata di strappare qualche ‘Mi piace’. Una dinamica di marketing notevolmente mediocre, che nasconde un problema ancora più grave: la diffusione del qualunquismo, che rende la disabilità un canone estetico da compatire.
In sostanza, ritorna in auge un sentimento pietistico, legittimando l’idea che la diversità sia una condizione inferiore. E, chi non ha queste diversità, può solo guardare e pregare, lanciare un messaggio di conforto, epitetare queste persone come “angeli del cielo” o “insegnanti di vita”. Così, senza neanche conoscere effettivamente le persone nelle foto. E questo non fa altro che diffondere un’immagine della disabilità erronea.
Qual è il problema?
Nel corso degli ultimi anni, il mondo della disabilità ha provato in tutti i modi a uscire fuori dal proprio guscio al grido di “inclusione“. Con risultati davvero importanti, che hanno dato all’opinione pubblica nuove chiavi comunicative con cui trattare il tema.
Purtroppo, però, l’ignoranza di fondo – soprattutto oggi – persiste e resiste. Quella stessa ignoranza che guarda al diverso come a un individuo debole, inutile, a cui la vita ha sottratto qualcosa. Tutto ciò non fa altro che legittimare il pensiero che la diversità vada guardata da sopra un piedistallo, come se esistesse una fascia umana superiore agli altri per forza di cose. Questa non è la Disabilità Positiva di cui dovremmo parlare. Ma è quella disabilità negativa da combattere, perché rende le persone schiave di tabù e preconcetti che sono farisaici nella cultura odierna.
“Mi chiamo Agata e non piaccio a nessuno perché sono handicappata”. “Sono Valeria e oggi compio gli anni. Me li fate gli auguri? Non siate razzisti”, seguita da una foto di una persona con Sindrome di Down. “Ciao a tutti mi chiamo Simona e mio marito si vergogna di me perché sono disabile”. Sono solo alcuni dei post che abbiamo trovato nella pagina, e che proliferano grazie alle condivisioni degli utenti, ignari (col beneficio del dubbio) del messaggio pietistico che si vuole condividere.
Cosa comporta?
Tale atteggiamento pietistico porta a vedere qualsiasi condizione come un’innegabile male con il quale non si può avere una vita soddisfacente. Per dirla con termini più terra terra, si guarda alla disabilità come a una privazione importante per essere definite persone. Un circolo vizioso che chiama alla raccolta chi dall’ignoranza non sa uscirne (e, forse, non vuole neanche).
Cosa fare?
La risposta può risultare banale, ma è abbastanza semplice: bisogna creare consapevolezza. Innanzitutto su un concetto nevralgico, cioè che il disabile è una persona, sopra ogni cosa. In seconda battuta, che le persone con disabilità non vogliono essere compatite, ma chiedono la legittimità e la difesa dei propri diritti, come ogni essere umano. Infine, studiare, leggere, conoscere, osservare: perché il qualunquismo non è cultura, ma solo un mero palliativo dell’insolente ignoranza.