Lo psicologo di base sta diventando una necessità, e le malattie mentali non vanno più sottovalutate. Tra i tanti insegnamenti che stiamo apprendendo dalla pandemia da Covid, c’è sicuramente l’esigenza di riqualificare alcuni concetti socio-sanitari come depressione, stress, doomscrolling e Sindrome da Burnout, etichettati fin troppo nella nostra società come semplici mal di testa e poca voglia di fare.
Si tratta di un discorso abbastanza complesso da affrontare, in quanto l’argomento va disquisito su due tracciati: innanzitutto, bisogna superare alcuni scogli culturali di chi pensa che la mente non si ammali mai, e che molte condizioni vengono attribuite a “semplici” e “sporadici” fantasmi; in secondo luogo, va sottolineata l’evidenza dei fatti, cioè che il nuovo Coronavirus ha semplicemente acutizzato situazioni pre-esistenti alla pandemia.
Stiamo quindi scoprendo l’acqua calda, ma è una scoperta che comunque può determinare evoluzioni molto interessanti per le vite degli individui appartenenti alle società moderne.
Prima di arrivare alle statistiche più preoccupanti, cerchiamo di comprendere il contesto attuale. Condizioni come depressione, ansia e stress sono aumentate nel corso del 2020 a causa di svariati fattori: isolamento continuo, diffusione di notizie negative, aumento della povertà, crisi della propria stabilità economica, incremento dell’incertezza per il futuro, ricerca spasmodica del significato ultimo della pandemia, lutti in famiglia dati proprio dal nuovo virus.
Queste non sono le uniche “cause” che evidenziano un quadro psicologico attuale abbastanza severo, ma ci aiutano a dipingere una situazione allarmante che non può più essere ignorata, in quanto può inficiare pericolosamente nella vita di ognuno di noi.
Un allarme di questo tipo era già stato lanciato durante il primo lockdown, ad aprile 2020, e in più di un’occasione. Per esempio, l’Istituto Piepoli, in collaborazione con l’Ordine degli psicologici, ha evidenziato che il 63% degli italiani soffre di una condizione tra insonnia, mal di testa, mal di stomaco, ansia, panico e depressione, definendosi “molto o abbastanza stressato”. Il 43%, invece, ha segnalato di vivere “un livello massimo di stress”.
Invece, secondo un articolo pubblicato da The Lancet Psychiatry, dal titolo “Suicide risk and prevention during the COVID-19 pandemic”, tra i fattori di rischio che aumentano i disagi emotivi dati dal Covid troviamo: malattie mentali; esperienze di crisi suicide; fattore economico; violenze domestiche; abuso di alcool; isolamento, solitudine, lutto; accesso alle cure; irresponsabilità dei media nel raccontare i fatti senza toni moderati.
E nel corso dei mesi questa tendenza non ha registrato alcuna inversione. In base a uno studio della Fondazione Soleterre, nell’ambito del progetto Fondo Nazionale per il Supporto Psicologico Covid-19 datato novembre 2020, il 33% dei pazienti analizzati ha manifestato:
- disturbi da stress post traumatico (in forma grave 31%; molto grave 2%);
- depressione (moderata 23%; grave 40%);
- ansia (moderata 37%; grave 32%);
- rabbia (moderata 25%; grave 23%);
- alterazioni del sonno (moderata 25%; grave 23%);
- uso di sostanze (grave 37%).
Questi dati ci aiutano a comprendere che sta nascendo una forma di stress da Coronavirus, che può avere effetti negativi duraturi nel tempo. Disturbi che minacciano la qualità della vita delle persone – ulteriormente messa in crisi da una pandemia che non sembra darci pace.
Psicologo di base in Puglia e Campania: scontro con il governo
Già durante il primo lockdown ci si è resi conto che la popolazione necessitava di un supporto psicologico gratuito e accessibile. Per questo motivo, il Ministero della Salute e la Protezione Civile avevano attivato un numero gratuito di supporto psicologico (800.833.833) raggiungibile per chiunque ne avesse avuto bisogno (al tempo composto da 4 chiamate gratuite con un operatore sanitario di circa un’ora cadauna).
Ma non è più sufficiente. Al momento, la pandemia da Covid rende ancora incerto il nostro futuro, e dunque andrebbe ripensato il sistema sanitario in cui viviamo. Perciò autorizzare lo psicologo di base a livello nazionale sarebbe una soluzione importante e indispensabile.
Da una parte aumenterebbe le possibilità di accesso per delle cure che sono imprescindibili per l’essere umano. Dall’altra, si andrebbero a sciogliere quei muri pregiudiziali che etichettano la cura psicologica come una vergogna per un individuo sociale.
Qualche regione italiana ha già orientato il trend verso soluzioni abbastanza propositive. La capofila di questo movimento è la Puglia, che il 16 giugno 2020 ha approvato una proposta di legge per l’istituzione della figura dello psicologo di base per le cure primarie, oltre all’adozione di modello organizzativo per monitorare e attuare la figura nei distretti sociosanitari e negli ospedali.
Segue a ruota la Regione Campania, che il 3 agosto 2020 ha approvato una legge che istituisce proprio lo psicologo di base. Due situazioni che, però, a ottobre 2020, sono state contestate dall’attuale governo, asserendo che queste leggi hanno invaso i compiti statali, visto quanto previsto dall’articolo 117 della Costituzione Italiana.
Tuttavia, come spiega Quotidiano Sanità, non ci sarebbe stata nessuna invasione di campo, poiché il Parlamento ha già approvato una norma primaria per l’inserimento dello psicologo di base nelle cure primarie. Sostanzialmente, quindi, Puglia e Campania hanno fatto ciò che prevede l’articolo costituzionale invocato, cioè applicare quanto legiferato dal Parlamento.
In linea generale, dunque, l’istituzione di una normativa nazionale dello psicologo di base sembra essere ancora troppo lontana. Tuttavia, così come per il vaccino contro il Covid, anche questa figura professionale è un’ottima soluzione per arginare un’altra pandemia, più nascosta ai nostri occhi, ma che colpisce altrettanto duramente la qualità della vita delle persone.
Il presente articolo non è stato aggiornato con le novità introdotte dalla sentenza n. 241/2021 della la Corte Costituzionale