E’ giusto ricordare, evitare che il coraggio ed il valore di uomini del passato cadano nel dimenticatoio, perché è grazie a loro che oggi possiamo godere di molte libertà e far valere tanti diritti. E’ sbagliato però ricordarsi solo degli eroi che ci hanno preceduti dimenticandosi invece di chi vive nel presente, di chi oggi c’è e lotta per la libertà e l’onore di tutti.
“Pensando a Carlo mi viene in mente un passo della Divina Commedia che descrive il grande poeta Virgilio: ‘Facesti come quei che va di notte che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte’.
Carlo è così, avanza verso l’indefinito guidando tutte quelle persone che hanno bisogno di lui, che hanno bisogno di un’Italia più unita che sappia onorare gli eroi ed aiutare i più deboli”.
Così appare il Colonnello Carlo Calcagni agli occhi di Matteo Guerra, un giovane ragazzo di appena 18 anni che vede in quell’uomo un esempio da seguire, la conferma che in mezzo a molte cose da cambiare, omertà ed indifferenza c’è anche tanto di buono, c’è chi come ‘Carlo’ non si arrende mai, lottando per se stesso e per chi non può più farlo.
Gli anni più belli
I valori sono al centro della sua vita, la guidano, la definiscono, a partire dalle radici. Il Salento risuona tra le sue parole, se ne riconosce il ritmo, l’intensità, la verità. Ma non è qui che è sempre stato, la sua vita inizia in un posto che con la bella Puglia ha poco a che vedere. In Germania Carlo trascorre i primi sei anni di vita e dell’Italia non sa praticamente nulla, nemmeno la lingua. Qui i genitori erano venuti con l’intento di lavorare e mettere da parte quei risparmi che, al rientro in Italia, avrebbero potuto assicurare loro un futuro certo, una casa e della terra da poter coltivare.
Ricorda con piacere quegli anni fatti di cose semplici, in cui con il poco che si aveva si cercava di dare il sempre il massimo, in cui si dava importanza alle piccole cose, si apprezzava ciò che si aveva. Forse gli anni più belli della sua vita.
Lo sport ha sempre occupato un posto importante, sin da bambino: prima piscina e pattinaggio, poi il grande amore per il judo, e ancora atletica e pentathlon militare. E la passione più grande di tutte, quella per la bicicletta.
L’esercito
Al mondo dell’esercito Carlo Calcagni si avvicina per caso, tramite un amico che lo convince a presentare domanda insieme a lui ad un concorso per allievi ufficiali di complemento.
E così inaspettatamente si rende conto che era quello il suo posto, era quello il lavoro che avrebbe voluto fare…e la sua passione per il volo comincia a farsi strada grazie agli ottimi risultati (ben sopra la media) che ottiene nei vari test e concorsi a cui partecipa.
Ma non è certo un militare qualunque che vuole diventare, lui punta in alto. Carlo vuole essere un militare della folgore. Far parte di questa unità speciale significa tante cose, ma soprattutto significa essere una famiglia, essere uniti, significa essere fratelli affidando la propria vita a quella del compagno e rischiare la propria ogni giorno per salvare quella dell’altro.
Per il Colonnello Calcagni la divisa racchiude tutto ciò che egli rappresenta: l’onore, la dignità, l’umiltà, la determinazione, il carattere, la disponibilità verso gli altri, l’amore verso il prossimo, il sacrificio. La forza, il coraggio e la speranza che ogni giorno lo portano a decidere di continuare a lottare, di continuare a servire lo Stato (lo stesso dal quale è stato abbandonato), di andare avanti a vivere la propria vita.
E’ per il rispetto della divisa che quotidianamente cerca di canalizzare la sua rabbia ed il suo dolore in qualcosa di positivo come aiutare il prossimo, facendo sì che le persone come lui non siano vittime dell’indifferenza di chi ha il dovere morale ed istituzionale di sostenerle. Persone che hanno dato la vita (e la stanno dando ancora) per eseguire un ordine, per difendere i propri ideali, per dare fede al giuramento prestato.
La missione in Bosnia
Nel 1996 il Colonnello viene inviato in missione di pace in Bosnia, un paese in quel momento devastato dalla guerra civile. La base è a Sarajevo e Calcagni, in qualità di pilota elicotterista, è l’unico del contingente italiano in Bosnia addetto al servizio di evacuazione medico-sanitaria: il suo compito è infatti quello di soccorrere feriti e recuperare salme di caduti. Ma ad attendere lui ed i suoi compagni c’è un nemico di cui nessuno aveva parlato, “un nemico invisibile, subdolo ed efficiente”: l’uranio impoverito.
L’uranio impoverito
Si tratta di un materiale di scarto delle centrali nucleari dalle particolari proprietà (elevata capacità perforante, piroforico, densità elevata, radioattività) grazie alle quali è stato largamente impiegato in ambito militare (in particolare per corazzare carri armati, vari tipi di proiettili e missili balistici). Ma è proprio per la sua elevata capacità perforante e piroforica che l’uranio impoverito al momento dell’impatto con una superficie genera temperature elevatissime, al di sopra dei 3000 gradi, trasformando in aerosol qualsiasi tipo di materiale. Queste nanoparticelle, che non sono né biocompatibili né biodegradabili, hanno delle dimensioni talmente ridotte che riescono facilmente ad entrare nel circolo sanguigno attraverso le vie respiratorie, le ferite o acqua o cibo contaminati. Una volta qui volta possono raggiungere qualsiasi organo o apparato del corpo umano determinando danni irreparabili a causa della loro elevata tossicità.
Nei Balcani (così come in Kosovo, in Somalia ed in Iraq) i nostri alleati americani hanno bombardato quelle zone a partire dalle basi italiane utilizzando armamenti all’uranio impoverito che hanno contaminato le aree dove i nostri soldati si sono trovati ad operare. Ma mentre i primi erano a conoscenza dei rischi correlati all’uranio e disponevano dei mezzi e delle dotazioni necessarie, i soldati italiani erano completamente all’oscuro di tutto e per questo impreparati ad affrontare la situazione senza mettere a rischio la propria vita. Perché se è vero che un militare il più delle volte sceglie di fare quello che fa, è altrettanto vero che deve essere messo nelle condizioni di conoscere tutti i rischi così da potergli far fronte nel migliore dei modi. E’ possibile allora che nulla sia stato detto? E’ possibile che gli americani abbiano tenuto per sé un’informazione così importante?
A smentire questa ipotesi è un documento prodotto dall’esercito USA nel 1995 e distribuito agli alleati militari delle nazioni NATO che spiega cos’è l’uranio impoverito, quali sono i vantaggi del suo impiego in ambito militare, quali sono i rischi e come proteggersi da eventuali contaminazioni.
Ciò significa che ai vertici si era a conoscenza del pericolo incontro al quale sarebbero andati i soldati italiani ma la decisione è stata quella di tacere piuttosto che proteggere, sostenere, essere leali. E di fronte ad una realtà così cruda non si può far altro che chiedersi: perché?
Al termine della missione Calcagni fa rientro in patria e la sua vita ricomincia. Nel 2001 convola a nozze con la sua compagna e tutto sembra andare per il meglio. E’ pilota-istruttore a Viterbo, ha accanto la donna che ama e pian piano vede i suoi sogni concretizzarsi davanti ai suoi occhi…l’unica cosa che manca sono i figli, che desidera davvero con tutto se stesso.
La malattia
Nel 2002 il triste lascito della missione in Bosnia inizia a manifestarsi: Carlo prova una sensazione di fatica mai avvertita prima quando si allena o quando vola, così decide di sottoporsi ad alcuni accertamenti. I medici riscontrano gravi problemi di ipotiroidismo ed effettuando varie biopsie sia a livello midollare che epatico viene evidenziata la presenza di nanoparticelle di metalli pesanti (tra i quali l’uranio impoverito) che il Colonnello aveva respirato durante le ore di volo sulle zone di guerra.
Con un referto medico dell’ospedale militare di Bari del marzo 2005 viene certificata la patologia per la prima volta: “Nel 1996, operando in regioni belliche, il Capitano Carlo Calcagni è stato esposto verosimilmente ad uranio impoverito”.
E questo è ciò che ne consegue: gravi ripercussioni multiorgano su cuore, reni, midollo e polmoni, Sensibilità Chimica Multipla (Mcs) da uranio impoverito, diagnosi di patologie neurodegenerative (come Parkinson e sclerosi multipla) solo per citarne qualcuna. Per i medici Carlo è un ‘fortunato’, non riescono a spiegarsi come una persona nelle sue condizioni non solo sia viva, ma riesca a vivere una vita intensa come la sua. Perché se di una cosa puoi esser certo è che Carlo non è uno che si accontenta di esserci, di sopravvivere.
Lui la vita se la vuole sentire addosso, esplodere dentro. Ed è grazie a questa sua voglia che, tra mille sofferenze, accetta tutto: 18 ore al giorno di ossigenoterapia, trecento compresse, due ore di camera iperbarica, quattro ore di flebo, sette iniezioni, ventilatore polmonare. Lo fa per i suoi figli, per vederli crescere. Lo fa per la passione che ha per lo sport, per poter montare in sella alla sua compagna di mille avventure, la bicicletta; lo fa perché vuole esserci, perché vuole vivere. E correre.
Nel tempo la malattia degenera e la contaminazione lentamente si insinua in tutti gli organi del suo corpo, danneggiandoli irrimediabilmente; nel 2007 il Colonnello Calcagni viene riformato con il 100% di invalidità. Non riesce più ad allenarsi a causa del dolore che non ha soltanto un’origine fisica, al contrario. Forse è quello morale a fare più male, “la consapevolezza che il tuo corpo si sta distruggendo perché chi avrebbe dovuto proteggerti, la tua Patria, ti ha tradito, offeso, considerato meno di niente.”
Non sono ferite evidenti le sue, il suo corpo non sanguina, visto da fuori sembra perfetto, non ha menomazioni che colpiscano all’occhio. Così mentre in Bosnia in zona di operazioni riceve l’encomio per aver dato lustro all’esercito italiano in un contesto internazionale, nel suo paese, che avrebbe dovuto accoglierlo ed onorarlo, non c’è nessuna Medaglia al Valore ad aspettarlo. Dopo anni di battaglie il Capitano deve ‘accontentarsi’ di aver ottenuto il riconoscimento della causa di servizio per la sua malattia, di essere stato iscritto al Ruolo d’Onore e di esser stato riconosciuto come vittima del dovere. “Perché sono rientrato con le mie gambe, sulle mie gambe…”
Ed ecco il tassello mancante: riconoscere il binomio causa-effetto a tutti i militari deceduti o malati (circa 4000 dagli anni ’90 ad oggi) o alla popolazione civile intossicata dall’ambiente per lo Stato significa ammissione di colpevolezza, e questo a sua volta significa sborsare milioni di euro tra cause di servizio e risarcimenti…
Il mondo paralimpico
Nel 2010 Carlo Calcagni inizia un percorso di cura presso il Breakspear Hospital Medical Group di Londra, un centro altamente specializzato nella cura di patologie come l’Mcs, una malattia caratterizzata da un’elevata sensibilità a tutto ciò che è chimico riconosciuta a livello internazionale ma che nel nostro paese in pochi riconoscono. Le cure salvavita alle quali si deve sottoporre (terapia chelante e disintossicante) in Italia non sono offerte dalle strutture sanitarie né è previsto un rimborso spese dal Servizio Sanitario Nazionale; come stabilito dalla normativa però è l’ASL competente (nel caso di Carlo quella di Brindisi) a farsi carico dell’80% delle spese sostenute per i ricoveri all’estero.
Le terapie cominciano presto a dare i loro effetti e così Carlo pian piano si riavvicina allo sport: la voglia di tornare in sella alla sua bici il prima possibile è così forte che per farlo è disposto a tutto, persino a rifiutare le terapie antidolorifiche e antidepressive suggeritegli dai medici. Essendo sempre stato un grande atleta, ha già la mentalità da sportivo che è alla base per raggiungere risultati di una certa importanza; ciò che deve fare ora è adattare la sua disabilità e le sue capacità residue alla nuova condizione.
In sella alla bicicletta il Colonnello in passato aveva già tenuto alto il nome dell’Italia ottenendo circa 300 vittorie nel ciclismo su strada in occasione di varie competizioni riservate ai militari. Una passione che la malattia non è riuscita a spezzare ma anzi ha rafforzato, trasformandola in una motivazione per reagire, per vivere.
Nel 2010 Carlo Calcagni entra a far parte del corpo degli atleti paralimpici. Inizialmente la prima classificazione gli consente di correre su bici normale ma qualche mese dopo, a causa delle problematiche relative alle patologie neurologiche, viene inserito nella categoria del triciclo. Un duro colpo per lui, che fino a quel momento aveva potuto nascondere i suoi problemi di salute dietro la sua fisicità, quel corpo atletico che ha sempre avuto e che ha imparato a nascondere i segni che si porta dietro.
Ed è proprio la sua forza fisica, associata alla sua grande tenacia, a fargli tornare di nuovo la fiducia in se stesso e nelle sue capacità.
Il doping
Il suo debutto nel mondo paralimpico è in occasione della Coppa del Mondo di Maniago dove vince l’oro sia nella gara in linea che nella crono battendo tutti i più forti atleti del mondo. Al termine della competizione, come da regolamento, Carlo si sottopone ai normali controlli anti-doping ai quali risulta negativo.
“Posso farcela”, è questo che ricomincia a pensare. “Posso far vedere a tutti quanto valgo, di che stoffa sono fatto. Posso essere un esempio, uno stimolo, un simbolo di coraggio e di rispetto per la vita, che nonostante tutte le difficoltà che mi ha presentato è un dono meraviglioso che io voglio vivere a pieno, al 100%, ‘a tutta’ ”…
Due settimane dopo è il momento dei Campionati Italiani dove Carlo replica la doppietta d’oro mostrando ancora una volta a tutti il suo grande valore atletico. Ma al termine della gara c’è una brutta sorpresa ad attenderlo: ai controlli anti-doping risultano tracce di Mesterolone Metabolita, un farmaco che rientra nella sua terapia salva-vita per il quale aveva ricevuto la preventiva autorizzazione per uso terapeutico. Così, a pochi giorni dal Campionato del Mondo di Nottwil (Svizzera) al quale Carlo, facendo parte della Nazionale, vuole e deve partecipare, arriva una sospensione cautelare dall’attività agonistica. Per poter risolvere tutto il prima possibile chiede di essere convocato presso il Tribunale Nazionale anti-doping di Roma dove la sospensione viene immediatamente revocata.
Dopo aver ripreso la sua normale attività sportiva, alla vigilia del Campionato di Nottwil i problemi sembrano non essere finiti: Carlo viene convocato dalla Commissione responsabile della classificazione degli atleti in base alle loro disabilità (la stessa che aveva affidato a lui la categoria del triciclo) che, senza visionare la documentazione clinica, lo esclude dalla competizione. Non potendo in alcun modo opporsi alla decisione presa (seppur ingiusta) a Carlo non resta che tornare a casa, profondamente deluso per aver perso l’ultima occasione per potersi qualificare ai Giochi Paralimpici, la massima aspirazione per un atleta con disabilità. Rio era così vicina, il suo sogno ad un passo da lui…
Continua a lottare Carlo, e continua a fare sport, nonostante le mille difficoltà che si presentano sul suo cammino. Dopo aver partecipato alla prima tappa del Giro d’Italia ed aver vinto la maglia rosa viene costretto ad abbandonare l’attività agonistica a causa di un aggravamento della sua cardiopatia causato dalla sospensione di un diuretico imposta dalla Commissione (il farmaco era stato ritenuto non necessario in base alle sue condizioni cliniche).
Non senza difficoltà la tenacia di Carlo Calcagni ha la meglio, e così ottiene di nuovo l’autorizzazione a gareggiare: i termini per l’iscrizione ai Campionati del Mondo sono ormai scaduti, ma il Colonnello Calcagni, facendo parte del Gruppo Sportivo Paralimpico della Difesa, riesce a partecipare agli Invictus di Orlando tornando a casa con tre medaglie al collo, due nel ciclismo e una nel canottaggio indoor.
Ma perché tutto questo? Non si potrebbero semplicemente riconoscere il suo valore ed il suo impegno che invece fino ad ora sono stati dati per scontati? Perché un uomo come lui, che è stato sempre leale, che ha servito la patria con onore, ha salvato vite umane, ha lavorato per magistrati antimafia, ha effettuato soccorsi, ha trasportato organi mettendo la sua vita sempre al secondo posto viene ostacolato in quello che lo rende felice davvero? Perché c’è qualcuno che non vuole farlo correre, nonostante questa sia una fonte di gioia e di vita importantissima per lui, prescritta e consigliata dai medici anche per i benefici fisici che è in grado di apportare?
Vivere ‘a tutta’
Vivere una vita così piena non può che renderti consapevole di chi sei, quanto vali, di ciò di cui hai bisogno.
Non ci sono rimpianti per il Colonnello Calcagni, sa di aver fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità, di aver adempiuto al proprio dovere di uomo, di padre, di cittadino italiano e di soldato; e non ci sono pretese, come non ce ne sono mai state.
Solo un desiderio, un bisogno, la necessità di mostrare al mondo le sue capacità, di rappresentare un paese che sia, finalmente, orgoglioso di lui: salire in sella alla sua bici, indossare la maglia azzurra e correre. Correre.
“Io voglio vivere e voglio farlo fino in fondo. Non ha importanza se sarà per un giorno, per un mese, per un anno o più, quello che conta per me è vivere intensamente, ‘a tutta’…”