Le persone disabili in Iran starebbero vivendo discriminazioni quotidiane, almeno secondo quanto emerge da alcuni report di qualche anno fa (su cui è difficile reperire aggiornamenti in merito, ma per i quali restiamo disponibili a riceverne).
Quanto sta accadendo in Iran nelle ultime settimane, dal tragico caso di Mahsa Amini alla detenzione di Alessia Piperno, sta puntando nuovamente i riflettori sulla necessità di una più ampia diffusione della cultura della difesa dei diritti umani, un argomento che interessa anche le persone con disabilità. In questo ampio clima di proteste, analizziamo come vivono le persone con disabilità all’interno dell’Iran.
Qual è la situazione delle persone disabili in Iran?
Rispondere a questa domanda non è affatto semplice, in quanto non sembrano esserci a oggi report aggiornati sull’argomento. Il più recente (e anche il più affidabile) è firmato da Human Rights Watch e Iran Human Rights, dal titolo “‘I Am Equally Human’: Discrimination and Lack of Accessibility for People with Disabilities in Iran“, che nel 2018 fotografava una situazione profondamente complicata per le persone disabili. Come si può leggere in una nota di HRW, il dossier parla specificatamente di “discriminazioni, abusi e un ambiente inaccessibile” nel quale vivono le persone con disabilità in Iran.
Prima però di addentrarci nel dossier, è necessario inquadrare quante sono le persone disabili in Iran, un’altra questione complessa visto che non esistono dati ufficiali, aggiornati e precisi. In base al documento di HRW, nel 2015 le agenzie governative locali avrebbero censito 1,8 milioni di persone con disabilità (il 4,2% della popolazione), mentre alcuni funzionari parlano addirittura di una statistica tra 9 e 11 milioni di persone (11/14%), di cui il 35% sarebbero donne. Numeri in netto contrasto con quelli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Banca Mondiale, secondo cui sarebbero 12 milioni di persone (su una popolazione totale di 80 milioni). Insomma, il dato sarebbe sottostimato.
In tema di stigma e discriminazioni, le persone con disabilità in Iran subiscono numerose violazioni, molte delle quali comuni alle società occidentali, come le barriere architettoniche negli uffici governativi, nei centri sanitari e sui mezzi di trasporto pubblico (con l’assenza di rampe per gli autobus e di ascensori funzionanti per accedere ai treni).
Come se non bastasse, gli individui disabili sono costretti ad affrontare muri quasi invalicabili anche con i lavoratori che prestano servizi di assistenza, come gli assistenti sociali governativi e gli operatori sanitari. Sempre ammesso che si riesca a uscire di casa, visto che molti sono intrappolati nelle proprie mura domestiche e impossibilitati ad avere una vita autonoma e indipendente che permetta loro di partecipare alla società in modo equo.
Quando parliamo di accessibilità però, affrontiamo anche il tema delle barriere sensoriali o linguistiche. Per fare un esempio, negli ospedali e nelle cliniche iraniani non solo mancano rampe o ascensori idonei, ma non ci sarebbero specifici assistenti per i ciechi e gli ipovedenti, così come personale capace di comunicare con la Lingua dei Segni ai pazienti sordi.
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Il documento va molto a fondo della faccenda grazie alle interviste condotte alle persone con disabilità locali, scoprendo fratture profonde persino nel sistema governativo. Ad esempio dall’Organizzazione per il benessere dello Stato iraniano, agenzia che lavora per fornire servizi alle persone disabili, fuoriescono storie aberranti: “Le persone intervistate hanno affermato che gli assistenti sociali del governo li hanno insultati e umiliati e non hanno fornito informazioni essenziali su servizi e attrezzature. Hanno affermato che i servizi e le attrezzature fornite dall’agenzia per l’assistenza sono spesso di bassa qualità, non soddisfano i bisogni delle persone e possono essere ottenuti solo attraverso procedure lunghe e complesse”.
E non è tutto qui, in quanto il report rivela pratiche mediche antiquate e pericolose per la vita umana: “Il personale medico può fornire cure a persone con disabilità senza il loro consenso informato o non fornire loro informazioni complete e accurate sul trattamento e sulle opzioni di trattamento. Ad esempio, la terapia elettroconvulsivante viene spesso eseguita inutilmente senza il consenso informato su persone con disabilità psicosociali, condizioni di salute mentale o condizioni in cui è probabile che non sia utile”.
“Le persone con disabilità in Iran sono tagliate fuori dalla società a causa della discriminazione e degli edifici e dei servizi pubblici inaccessibili” – affermò Jane Buchanan, vicedirettrice dei diritti delle persone disabili presso Human Rights Watch -. Il governo dovrebbe immediatamente rilasciare dichiarazioni” asserendo “che la discriminazione contro le persone con disabilità non ha posto in Iran e fare un piano chiaro e con scadenze per garantire l’accessibilità dei trasporti, dei servizi sociali e dell’assistenza sanitaria”.
Eppure nel 2009 l’Iran ratificò la Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità e promulgò persino normative in materia, che però nella fattispecie non garantiscono alcune tutela. Nel 2018 ad esempio una legge disciplina l’aumento delle pensioni di invalidità (comunque basso, nel 2018 pari a 39,36 dollari americani), ma non vieta la discriminazione.
In aggiunta altre leggi abusano di un linguaggio fortemente dispregiativo, come “ritardato mentale”, “paralizzato” e “pazzo”. La stessa definizione di disabilità in Iran datata 2004 nella legge sull’invalidità è allarmante, visto che viene qualificata come “menomazioni che equivalgono a continue e considerevoli deficienze della loro salute e del funzionamento generale per il livello che l’indipendenza sociale ed economica della persona è ridotta”. Per dovere di cronaca, il governo ha comunque provato a rivedere l’uso improprio di questo linguaggio, soprattutto in riferimento a disabilità fisiche e mentali.
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Le storie di persone disabili dall’Iran: terapie con elettroshock e pensioni bassissime
Il quadro fornito da Human Rights Watch e dal Centro per i diritti umani in Iran è stato possibile grazie alle interviste con 58 donne e uomini con disabilità. Dal report viene sottolineato persino che nessuno degli intervistati ha beneficiato dell’assistenza personale professionale (PA) – i caregiver, per intenderci. Un beneficio che, comunque, non è una sicurezza, visto che in alcuni casi gli assistenti si mostrano poco conformi ai compiti richiesti oppure vengono segnalati per furto.
In questo contesto particolarmente devastante, le storie che emergono dal documento denunciano una vera e propria mancanza di sensibilità sociale. Per fare un esempio, Alireza ha dovuto abbandonare la scuola a 15 anni perché non aveva modo di raggiungere la sua aula o di usare il bagno. Ora è costretto a vivere con sua madre anziana: “Mi vergogno davvero quando si sforza di aiutarmi, quindi cerco di ridurre al minimo le mie richieste di aiuto. Vorrei poter avere qualcun altro che mi assista. Ma l’Organizzazione statale per il benessere, che ha il compito di sostenerci, non si preoccupa per noi. Mi pagano solo questa indennità mensile [l’equivalente di 40 dollari] con la quale non posso nemmeno comprare un pasto al giorno. Penso di poter sopravvivere solo finché mia madre è viva. Il giorno in cui non ci sarà per me, non avrò nessun altro posto dove andare”.
Inoltre, come dicevamo poc’anzi, le cure mediche vengono fornite senza consenso e senza specificarne il motivo: “La prima volta che ho avuto l’elettroshock – raccontò Jafar, persona con disabilità psicosociale – “un cardiologo mi ha visitato il giorno prima. Poi, mi hanno preso per lo shock, ed è stato solo allora che ho imparato di cosa si trattava. Ho dimenticato molte cose dopo. Lo facevano a giorni alterni”.
Infine Hassan, persona in carrozzina di Teheran, testimoniò la complessità del trasporto pubblico: “Cerco di evitare di usare le scale mobili, ma a volte non ho altra scelta. Con la mia sedia a rotelle pesante…, salire sulla scala mobile sembra un suicidio [missione]. Una volta, sono quasi caduto. Se non fossi stato fortunato, avrei potuto subire un infortunio mortale”.
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