Una cura molto aggressiva e non esente da rischi, della quale al momento è sconsigliato l’uso diffuso. E allora di che stiamo a parlare? Della stessa terapia che ha totalmente bloccato ricadute cliniche e lo sviluppo di nuove lesioni cerebrali in 23 pazienti malati di Sclerosi multipla risultati resistenti alle terapie standard.
Lo studio, i limiti ed i benefici
Una terapia ancora nella seconda fase di studio le cui caratteristiche sono state pubblicate sulla rivista Lancet e che apre nuove speranze per gli oltre due milioni di persone affette da questa patologia. Attenzione però ai rischi connessi alla stessa: uno dei 24 pazienti è infatti morto dopo le complicanze per intossicazione grave da chemioterapia che ha provocato una necrosi epatica e sepsi.
Ma non si può certo nascondere il grande risultato ottenuto: in più del 70% dei pazienti si è registrato un arresto della malattia per un lungo periodo (anche superiore ai 10 anni), non si sono verificate nuove lesioni e non è risultata necessaria la terapia farmacologica. In alcuni pazienti si è perfino manifestato un miglioramento nel grado di disabilità, mentre in altri (circa il 30%) la situazione clinica ha continuato a peggiorare nonostante la mancata presenza di nuove lesioni.
In cosa consiste il trattamento
La terapia consiste nel prelevare cellule staminali dal midollo osseo dei pazienti, bombardare il sistema immunitario con un mix ad alte dosi di farmaci chemioterapici ed infine reiniettare le cellule prelevate. Attraverso gli esperimenti condotti presso l’Ospedale e l’Università di Ottawa, in Canada, è stato dimostrato che intervenire sul sistema immunitario in modo da bloccare la progressione della malattia è un intervento possibile, seppur come già detto, non esente da rischi. In pratica è come se il sistema immunitario “malato” venisse disintegrato e poi sostituito con delle cellule staminali ex novo che ne andranno a costituire uno nuovo e sano.
Dunque, cosa fare? Se è vero che è presto per poter aprire dibattiti di sorta trattandosi ancora di una terapia in fase sperimentale, per il momento gli esperti ci hanno fornito un dato: attualmente il rischio dell’intervento (con una mortalità dell’1-2%) sembra essere controbilanciato dall’alta probabilità che la malattia si fermi.
E allora non ci resta che aspettare ed incrociare le dita.