Nel corso degli anni le parole "integrazione" e "inclusione" sono state abusate più del dovuto, forse è ora di fare un discorso in merito
Integrazione e inclusione, sempre e comunque. Da ripetere come un mantra, fino a crederci perdutamente. Addirittura parole da idolatrare, le uniche da rispettare, le uniche ammissibili. Tanto però che ormai sono svuotate di senso. Perché sì, le persone vanno integrate e incluse nella società, anche se in realtà fanno parte di essa fin dalla nascita.
Qui non si tratta di parlare di integrazione/inclusione delle persone con disabilità, ma del modo in cui decidiamo di parlarne. O meglio, di usare queste due parole. Perché ormai queste hanno perso la loro funzione primaria: creare dibattito, portare avanti un’esigenza, fare rumore. Adesso invece sono semplici orpelli da sbandierare, soprattutto quando parliamo di minoranze.
Un tormentone politico e sociale per affermazione, conoscenza o vicinanza a un determinato argomento. Parli di disabilità, lgbt, immigrazione? Facciamo una bella infarinatura di integrazione e inclusione, tanto la ricetta è sempre quella. Ma ormai queste parole hanno fatto la muffa.
Adesso invece le minoranze sono composte unicamente da individui da integrare e includere: come se fossero alieni nati su un altro pianeta, anticonvenzionali di natura, qualcosa di altro e diversi, a cui dare istruzioni su usi e costumi. Vengo dalla luna, diceva Caparezza: e forse abbiamo capito perché.
Piccolo spoiler: ognuno di noi fa parte della società per il semplice fatto di esistere. Per cui perché bisognerebbe integrare o includere qualcuno che già fa parte di essa? Non è forse un modo per destrutturare qualsiasi responsabilità politica e sociale di fronte alla netta evidenza che certe minoranze vivono da separate in casa, perché sono gli stessi privilegiati politici e sociali che limitiamo la loro esistenza?
Secondo spoiler: siamo tutti diversi, nessuno deve essere escluso o emarginato. O almeno nessuno dovrebbe. Altresì però, viviamo in un contesto in cui qualcuno viene escluso ed emarginato. E l’esclusione non è un diritto di nascita, ma un percorso che può essere perpetrato nei confronti di categorie di persone per qualsivoglia motivazione. Piuttosto, l’integrazione e l’inclusione dovrebbero essere un diritto di nascita, a priori.
Tuttavia per far sì che nessuno venga escluso o emarginato è necessario fare un passo in avanti. È necessario agire, è necessario lottare. Lottare per il rispetto, per la difesa dei diritti umani, per una società che non discrimina, ma riconosce ogni persona come parte fondamentale del tutto.
E questo cambiamento può avvenire anche attraverso il linguaggio. Forse, integrazione e inclusione hanno perso il ruolo di catalizzatore d’attenzione, al fine di diventare un cuscinetto argomentativo per chi vuole giustificare una qualsiasi azione sociale.
Forse, invece, è necessario riscoprire che le persone non dovrebbero essere integrate in qualcosa in cui già sono incluse, ma andrebbero validate, e i diritti umani e sociali condivisi.
Ecco, concettualmente parlando, bisognerebbe ripartire da qui: validazione dell’esistenza della diversità come parte della società (e non gruppo escluso che va integrato); condivisione di diritti umani e sociali a quelle persone a cui sono stati strappati via semplicemente essere diversi oggi ha un’accezione negativa, politicamente e socialmente.
Ovviamente, ciò non significa smettere di usare queste parole per sempre, o rimuoverle addirittura dal vocabolario. L’obiettivo è uno spunto riflessivo su come un approccio comunicativo si evolve nel tempo, e debba anche seguire il corso degli eventi. E ammettere anche quando certe parole hanno esaurito il proprio potere.
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Ultima modifica: 23/01/2025