I diritti delle donne in Qatar non sono tutelati, ma anzi vengono sensibilmente minati creando forti discriminazioni. Scorpaimo come
Mancano pochi giorni all’inizio dei Mondiali di calcio 2022 previsti in Qatar, e da qualche anno è già passata alla storia come l’edizione più discussa e controversa mai disputata, visto le problematiche relative alla negazione dei diritti umani all’interno del Paese arabo. Sono numerose le testimonianze raccontate da svariate associazioni internazionali in merito la questione, le quali parlano di discriminazioni nei confronti delle donne, delle persone LGBTQIA+ e dei lavoratori migranti.
Da domenica 20 novembre 2022 inizieranno i Mondiali di calcio di Qatar 2022, un’edizione in cui lo sport è l’argomento secondario visto che questo Paese viene accusato da più parti di non garantire diritti umani a svariate categorie di persone, in particolare migranti, omosessuali, bisessuali, transgender e donne.
Dunque, ancor prima del calcio d’inizio, la 22esima edizione dei Mondiali organizzata dalla FIFA si preannuncia un campo di battaglia per la tutela e la difesa dei diritti umani. A livello sportivo comunque, il Qatar è il primo paese arabo (oltre a essere il paese ospitante più piccolo e meno popoloso con soli 3 milioni di abitanti) a ospitare questa manifestazione internazionale, la prima organizzata a ridosso dell’inverno.
Le Nazionali di calcio qualificate sono ben 32, composte da 13 europee, 8 americane, 5 asiatiche, 5 africane e 1 oceanica. Per il Qatar si tratta del primo Mondiale, mentre restano fuori compagini come l’Italia (che non è riuscita a qualificarsi agli spareggi) e la Russia (squalificata da tutte le competizione a seguito dell’invasione dell’Ucraina).
Leggi anche: La Russia ha organizzato (e vinto) le proprie Paralimpiadi contro 4 nazioni
Come dicevano all’inizio dell’articolo, la situazione dei diritti umani in Qatar non sembra essere per nulla rosea. Secondo le informazioni diffuse da Amnesty International e Human Rights Watch, la donna in Qatar è sottoposta a un regime sistemico e maschilista che ne preclude l’autonomia personale e lavorativa, ma non solo. Procediamo per gradi.
In Qatar non esiste una specifica legge che limita i diritti delle donne, ma è un sistema strutturale di normative e pratiche che, in estrema sintesi, richiudono la donna in una “tutela maschile“: in parole povere, quasi tutte le scelte di vita devono essere approvate dalla figura maschile della famiglia (marito, padre, nonno, fratello, zio).
Una discriminazione sistemica che investe tantissimi aspetti della vita quotidiana delle donne, le quali sono costrette a richiedere l’autorizzazione della figura maschile addirittura per sposarsi, studiare all’estero, viaggiare all’estero (se hanno meno di 25 anni), lavorare nell’amministrazione pubblica e accedere ai servizi di salute riproduttiva.
In sostanza, i diritti negati alle donne in Qatar non permettono loro di avere un autonomia o, addirittura, di essere trattate come persone adulte. Per fare un esempio, nel matrimonio le donne possono spostare solo uomo, previa autorizzazione di un tutore maschio, mentre gli uomini hanno il diritto unilaterale di sposare fino a 4 donne alla volte senza chiedere il permesso a nessuno, nemmeno all’attuale moglie o alle varie mogli.
E anche il divorzio è iniquo: le donne lo possono ottenere presentando una domanda specifica ai tribunali e presentando motivi limitati, mentre gli uomini possono divorziare senza interpellare alcun tribunale e, addirittura, senza informare la moglie o le moglie dell’intenzione. L’effetto devastante che tale situazione produce è trovare donne bloccate in matrimoni violenti. Come se non bastasse, in Qatar non esiste un codice penale che criminalizza la violenza domestica e lo stupro coniugale, ma esiste solo un articolo che vieta ai mariti di ferire fisicamente o moralmente le mogli.
Sempre sul tema del matrimonio, la donna è responsabile della cura della casa e dell’obbedienza al marito, e non ha molti diritti riguardo ai figli, in quanto non può conferire la propria nazionalità agli stessi così come avviene per gli uomini. Recentemente il Qatar ha introdotto una legge sulla residenza permanente, per consentire ai bambini di ricevere servizi sanitari ed educativi governativi, di investire nell’economia e di possedere proprietà immobiliari. Tuttavia tale possibilità è indicata per i figli delle donne del Qatar spostate con uomini stranieri, e non sempre le donne ricevono l’autorizzazione dai propri tutori.
Oltretutto, se non è presente un tutore maschio all’interno della famiglia, è lo Stato ad assumere la carica per il bambino stesso, non consentendolo alla madre. Così facendo, alla donna non restano molti diritti a cui appellarsi.
E nel mondo del lavoro le cose non migliorano. Le donne infatti sono pagate dal 25 al 50% in meno rispetto agli uomini, i quali godono persino di svariate indennità sociali. Una discriminazione così ramificata che viene perpetrata, come spiega Labour Force Sample Survey, anche se l’orario di lavoro è comparabile o più alto.
In Qatar è permesso l’aborto per anomalie fetali, ma la donna deve chiedere comunque il consenso del padre o del marito, così come per altre forme di assistenza sanitaria relative alla fertilità. Secondo quanto documentato da HRW, le donne devono presentare addirittura una prova di matrimonio per accedere alle cure sulla salute sessuale e riproduttiva.
In fatto di abbigliamento invece il Qatar è un Paese permissivo rispetto alle altre nazioni del Medio Oriente, in quanto il codice è guidato dai costumi sociali. Oltre a trovare l’hijab, in genere le donne indossano lunghe vesti nere, l’abayah o lo shayla.
Leggi anche: La violenza sulle donne con disabilità esiste: intervista
In un approfondito report dal titolo “Everything I Have to Do is Tied to a Man“, Human Rights Watch ha evidenziato quale fosse la situazione dei diritti delle donne in Qatar attraverso le voci di chi fosse riuscita a fuggire dal Paese.
Uno dei nomi più famosi è Noof Al Maadeed, donna e attivista di 22 anni che decise di lasciare il Qatar dopo anni di abusi domestici e restrizioni sui suoi movimenti: “[Ero] solo permesso di andare a scuola e ritorno. Qualsiasi altra cosa [e io] posso aspettarmi un pestaggio”.
Come sappiamo però, lasciare la nazione senza un permesso non è possibile, se non fosse che il 12 novembre 2019 Noof ottenne l’autorizzazione prendendo in segreto il telefono del padre, così da lasciare il Qatar. Una volta raggiunta l’Ucraina, riuscì a chiedere asilo al Regno Unito.
Questa è una storia simbolo di quanto accade in Qatar, molte altre sono documentate nel report di HRW, altre invece è difficile poterle conoscere proprio a causa delle restrizioni vigenti, che minano sensibilmente l’autonomia e la qualità della vita di una donna: dallo stesso documento di Human Rights Watch infatti emerge che questa condizione influisce sulla salute mentale, generando depressione, stress, autolesionismo e intenzione di suicidio.
Leggi anche: Perché le donne in Iran si tagliano i capelli come segno di protesta?
Ultima modifica: 06/12/2022