Martina Caironi si racconta ad Ability Channel: "C'è un reale interesse e una sensibilità per le Paralimpiadi, le persone fanno meno errori"
In questa intervista Martina Caironi ci parla della situazione dello sport paralimpico in Italia. Partendo dal ruolo importante che svolgono i media sotto il punto di vista del linguaggio, dei termini da utilizzare quando si parla di disabilità, passando per le strutture (che mancano), la tecnologia degli ausili (che avanza), per arrivare al ruolo fondamentale delle federazioni sportive, delle società e del Comitato Italiano Paralimpico.
Martina Caironi ha potuto notare una sostanziale differenza alle Paralimpiadi di Tokyo 2020. Se paragonata a Londra 2012 e Rio 2016, si è accorta che oggi le persone non solo riconoscono la riconoscono per strada e le chiedono un selfie con le medaglie, ma sono in generale sempre più informate. Possiedono una maggiore sensibilità verso la tematica della disabilità legata allo sport.
Per quanto riguarda gli ausili, sappiamo che la tecnologia che permette a chi ha una disabilità di fare sport è sempre più precisa ed in continuo progresso. C’è solo un problema: non sempre ha un costo accessibile. Non tutti difatti possono permettersi di spendere denaro per dispositivi e una manutenzione a volte decisamente troppo cari. In questo senso, anche le aziende stanno provando ad accorciare le distanze.
Il Comitato Italiano Paralimpico, dal canto suo, sta facendo enormi progressi e ha ormai un ruolo importante nella nostra società. Nel processo di evoluzione culturale volta a sensibilizzare la società riguardo la pratica di uno sport di chi vive una condizione di disabilità, è fondamentale che si rendano prima di tutto accessibili le strutture.
Non solo per una questione di praticità o equità, ma per far sì che la persona con disabilità non venga concepita come una persona con un deficit, ma come una persona indipendente prima di ogni altra cosa.
Il linguaggio e le parole sono componente cardine dell’evoluzione culturale di cui parlavamo nel paragrafo precedente. Di fatto la campionessa bergamasca ammette che “c’è sensibilità e ci si sforza un po’ di più di ricercare la parola giusta, anche se magari uno non ci arriva subito”.
E poi aggiunge: “Un errore che ancora alcuni fanno è quello di metterci dentro lo stesso pentolone e dire che siamo bravi. Questa è una roba che ci fa arrabbiare tantissimo, perché è troppo facile, troppo limitativo dire: ‘Bravi, avete fatto un’ottima gara’. Senza invece sapere di che categoria sono gli atleti. Perché ha fatto un’ottima gara? Cioè, se il mio risultato è valido realmente, oppure se secondo te sono bravo solo perché ho fatto sport con una disabilità. Non si può più fare questo tipo di ragionamento”.
Sembra infatti essere arrivato il momento di parlare di sport paralimpico considerando le prestazioni per ciò che sono: allenamento, sacrifici, competizione, risultati, record, progressi. E quando si parla di disabilità sembra inevitabile fare riferimento alle storie, alla condizione stessa che vive ogni disabile, agli ostacoli che deve superare. È giunta l’ora di andare oltre e parlare di sport e di atleti.
Parlando invece di disabili e supereroi, spesso la questione rischia di essere spinosa. Invece Martina Caironi ha le idee chiare anche su questo argomento: “Forse è stata una fase necessaria per attirare l’attenzione, per far capire che si può sempre fare di più. Ci sono tantissime persone con disabilità che si arrabbiano nel sentirsi definire supereroi, quando il vero supereroe è la persona normalissima che tutti i giorni si scontra con i problemi del quotidiano che la società gli dà”.
Il concetto è molto semplice: le persone, soprattutto quelle che vivono una condizione di disabilità, hanno bisogno di poter essere autonome, di sentirsi supportate e soprattutto di non doversi scontrare continuamente con degli ostacoli, che siano barriere architettoniche, mentali o morali.
L’ignoranza fa sì che tariamo la realtà intorno a noi solo ed unicamente in base ai nostri personali ed intimi bisogni. Dovremmo plasmare un mondo a misura di tutti ed in cui tutti quanti abbiano le stesse opportunità. Persone in carrozzina, in carrozzina elettrica, con protesi: c’è bisogno di rampe, elevatori, bagni e strutture sportive accessibili, di sensibilizzare i più giovani, di entrare nelle scuole, di riorganizzare le tutele ad i più fragili a nome di tutti e con spirito solidale.
Ci sono stati dei miglioramenti anche per quanto riguarda il ruolo che i media svolgono nel comunicare la realtà dello sport paralimpico alla società intera. È inevitabile parlare delle storie delle persone che popolano questo mondo, fare leva sulle emozioni, cavalcare l’onda del sentimentalismo e della sofferenza.
Basta non scadere nel pietismo o, ancora peggio, nell’abilismo vero e proprio. Lo si fa, naturalmente, anche quando si parla di sport. “C’è chi si è concentrato molto sull’aspetto dell’immagine delle Charlie’s Angels, del podio a tre, senza andare a spiegare questo podio spettacolare con dei tempi che sono unici nella nostra categoria T63 femminile – afferma Martina -. La mia medaglia d’oro di Rio 2016 con il tempo che ho fatto di 14’’93 non sarebbe nemmeno salita sul podio a Tokyo 2020.”
È vero, i media non sono ancora così concentrati sulle prestazioni degli atleti paralimpici e, di conseguenza, non lo è neanche il pubblico. In realtà, questi dettagli tecnici rappresentato tutto l’incredibile lavoro di atleti, tecnici, società, federazioni e dello stesso Comitato Italiano Paralimpico, e meriterebbero di essere esaltati e valorizzati, si tratta di aspetti molto importanti da considerare in vista di Parigi 2024 e Milano Cortina 2026.
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Ultima modifica: 17/11/2021