Mahsa Amini, una 22enne di origine curda, è morta tre giorni dopo essere stata arrestata a Teheran perché non indossava correttamente l'hijab
Il 13 settembre 2022, mentre era con la famiglia a Teheran, la 22enne Mahsa Amini è stata fermata e arrestata dalla polizia locale perché non indossava correttamente l’hijab. Morirà il 16 settembre nel reparto terapia intensiva dell’ospedale di Kasra, dopo due giorni di coma all’ospedale. La sua tragica scomparsa ha sollevato diverse proteste in Iran che sono sfociate in manifestazioni a livello mondiale.
Mahsa Amini, conosciuta come Jina (o Zhina) Amini, è nata il 21 settembre 1999, a Saqqez, nell’Iran nordoccidentale, da una famiglia curda composta dal fratello minore, il padre, un impiegato in un’organizzazione governativa, e la madre, casalinga. Ha frequentato la Taleghani Girls’ High School di Saqqez, dove si è diplomata nel 2018.
Il 13 settembre, mentre si recava con i genitori a Teheran, Mahsa è stata fermata a un posto di blocco dalla polizia, all’ingresso dell’autostrada Haqqani dalle “Guidance Patrol“, perché non indossava l’hijab, uno dei veli islamici, in maniera conforme ai dettami della legge coranica, la Shari’a, lasciando intravedere una ciocca di capelli.
Secondo alcuni testimoni presenti al momento dell’accaduto, dopo il fermo la ragazza avrebbe ricevuto una serie di percosse per le quali è stata trasportata in ospedale, dove sarebbe arrivata in stato di morte cerebrale. Il decesso è avvenuto il 16 settembre, quando la ragazza si trovava nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale di Kasra, dopo due giorni di coma all’ospedale.
Lo stesso fratello della giovane, Kiarash Amini, ha dichiarato al Corriere della Sera che “l’hanno trascinata via dicendo che la portavano a fare una ‘lezione di moralità’, intanto io ho avvisato i miei genitori. E siamo andati davanti al commissariato della polizia morale a Vozara. Lì davanti ci hanno detto che l’avrebbero rilasciata in poche ore. E invece…”
Il giorno del decesso, la clinica dove era stata ricoverata Amini diffuse un post (in seguito cancellato) sulla sua pagina Instagram dove si affermava che la giovane era già cerebralmente morta quando è stata ricoverata. Diversi medici hanno sostenuto che Mahsa avesse subito una lesione cerebrale, tra cui sanguinamento dalle orecchie e lividi sotto gli occhi, con fratture ossee, emorragia ed edema cerebrale.
Stando alle testimonianze, la polizia avrebbe detto alla famiglia che, dopo una “sessione di rieducazione“, la giovane sarebbe stata stata condotta a un centro di detenzione per essere poi sottoposta a un “breve corso sull’hijab” e rilasciata poco dopo. Ma le cose non andarono così.
“Mi hanno fatto vedere il suo corpo, aveva lividi sul volto – continua il fratello al Corriere della Sera – ma non mi hanno permesso di fotografarlo, chissà come mai. Poi due giorni dopo la polizia della moralità ha detto che mia sorella era morta a causa di un infarto. Ma lei era sana, completamente sana e non soffriva di cuore”.
Di fatto la polizia e le autorità religiose hanno sempre sostenuto che la giovane sia morta per cause naturali, versione alla quale si è opposta la famiglia fin dall’inizio, ribadendo che Mahsa non aveva problemi di salute.
Nei giorni successivi è stata resa pubblica l’autopsia eseguita dall’Organizzazione di medicina legale di Teheran, la quale afferma che la morte di Mahsa Amini non sarebbe avvenuta per le presunte violenze della polizia, ma per una malattia al cervello: si parla di un’operazione all’età di 8 anni per un tumore al cervello, contestata però dalla famiglia. Nel dettaglio, il decesso sarebbe da imputare a “insufficienza multiorgano causata da ipossia cerebrale“, causata da un’improvvisa perdita di conoscenza con “caduta a terra” della giovane.
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Sono 150 le città di tutto il mondo che hanno espresso il loro dolore per la morte della giovane Mahsa, dimostrando forte opposizione contro quanto accaduto. Le proteste hanno riunito anche gli italiani: da Milano a Napoli, Bologna, Torino e Piacenza, le città si riempiono di manifestanti che esprimono il loro dissenso con azioni quali il taglio di ciocche di capelli e slogan contro il governo iraniano.
Ad esempio il 1° ottobre 2022, davanti alla sede dell’ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran in via Nomentana, la città di Roma ha visto centinaia di persone manifestare con slogan quali “Donna, vita, libertà” e “No alla dittatura”. L’obiettivo è esprimere il proprio sostegno alle donne iraniane che denunciano il regime degli ayatollah e rivendicano i loro diritti.
Rivendicazioni perpetrate attraverso alcune azioni simboliche, come appunto l’atto di tagliarsi i capelli. Un fenomeno che si è diffuso a macchia d’olio anche in Occidente, tanto da avere delle ramificazioni artistiche: all’inizio di ottobre a Milano, di fronte il consolato generale della Repubblica Islamica dell’Iran, l’artista aleXsandro Palombo raffigurò Marge Simpson con la chioma blu tagliata.
Il murales, intitotato “The cut” (il taglio) fu oscurato il 6 ottobre scorso: “Censurare un’opera realizzata in solidarietà a Mahsa Amini e a tutte le donne iraniane che lottano per la loro libertà è un atto vile, un gesto di codardia – dichiarò l’artista -. Il fatto che sia avvenuto in un paese democratico come l’Italia è di una gravità assoluta, indica la voglia di soffocare il suo più profondo significato. Non ci faremo intimidire da questo spregevole gesto”. Il disegno poi venne replicato in “The cut 2” con le stesse modalità.
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Il 26 ottobre 2022, nel 40esimo giorno dalla morte, che tradizionalmente in Iran è celebrato come la fine del lutto, una folla composta da 100mila persone si è radunata intorno alla tomba della giovane, al cimitero Aichin di Saqqez, per esprimere vicinanza e dolore per la sua dipartita. Ad un mese dalla morte, in tutto il paese continuano le manifestazioni tra gli slogan, “Abbasso il dittatore”, “donne, vita, libertà” e “siamo tutti Mahsa, hai lottato e lotteremo anche noi”.
Ultima modifica: 16/11/2022