Il creatore della cannabis light, e fondatore della prima azienda in Italia che l'ha commercializzata, è intervenuto alle nostre videocamere
La normativa italiana sulla cannabis è fumosa e incompleta, e questo determina inchieste giudiziarie che, molto spesso, sono costrette fare chiarezza su intricati fatti di cronaca (come quello di Walter De Benedetto). Possiamo riassumere così la storia di Luca Marola, inventore della cannabis light e fondatore della prima azienda in Italia di commercializzazione della sostanza a bassissimo contenuto di THC.
Durante una manifestazione a Roma organizzata da Meglio Legale e 6000 sardine, Marola è intervenuto per raccontare la propria storia, la situazione attuale delle imprese di settore, la strada verso la legalizzazione e la grande incongruenza legislativa su come distinguere cannabis e droga.
“La grande differenza su cui c’è molto dibattito è la cannabis droga e non droga – ci ha spiegato lo stesso Marola -. L’elemento che distingue è il THC, uno dei 100 principi attivi presenti nella cannabis, l’unico che dà un effetto psicotropo, cioè che interagisce con il sistema nervoso centrale”.
Un elemento che, comunque, nella canapa industriale ha una concentrazione molto basa, dello “0,3% o 0,2% a seconda della nazione”, e non è considerata droga: di fatto, viene impiegata “per altri utilizzi”.
Tuttavia il quadro generale è caratterizzato da un impianto normativo di difficile comprensione: “Quando è entrata in vigore la legge sulla canapa industriale, a inizio 2017, non c’era una normativa per la coltivazione. C’erano le piantagioni, ma si basavano su una circolare ministeriale di inizio 2000. Quando è entrata in vigore la legge, si pensava che tutta la pianta potesse essere coltivata, e quindi anche commercializzata“.
Da questo vuoto legislativo, Marola ha colto un’opportunità: “Ho avuto l’intuizione di separare il fiore di canapa industriale, quindi senza THC, e venderla come infiorescenze. Poi le persone le avrebbero usate come meglio credevano. La mia iniziativa ha avuto così tanto riscontro che è nato un intero settore commerciale: si parla di 12mila posti di lavoro creati e migliaia e migliaia di aziende agricole”.
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Una normativa poco chiara non dà solo ampio margine a iniziative personali, ma causa anche una serie di inchieste giudiziarie che sono chiamate a mettere una toppa al contesto complessivo.
“In questi anni abbiamo provato a chiedere alla politica di specificare meglio la normativa sulla canapa e prendere in considerazione anche il fiore – ha ammesso Marola -, ma non è stato possibile”. E ciò ha avuto delle ricadute pesanti anche sull’azienda dell’imprenditore parmense: chiusura dell’attività nel 2019 da parte della magistratura e sequestro di tutto il magazzino (649 kg di canapa senza THC).
Oltretutto il prossimo 15 luglio Marola sarà chiamato a processo: “Se riusciremo a vincere, aggiungeremo un elemento di chiarezza per l’intero settore. Penso che sia molto difficile per l’accusa riuscire a dimostrare che una droga, che non droga, è comunque droga”.
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Ultima modifica: 11/09/2021