Mancanza di benessere e di uno scopo nella vita, tanto da portarci in uno stato di inerzia e devitalizzazione: potremmo riassumere così il “languishing“, un termine diffuso soprattutto durante il 2021, nel secondo anno di pandemia da Covid, ma ora tornato in auge anche a causa della guerra in Ucraina (i cui danni psicologici possono essere severi anche in chi osserva il conflitto da casa).
A far emergere questo senso di vuoto e stagnazione che diversi individui nel mondo starebbero provando fu un articolo del 19 aprile 2021 pubblicato sul New York Times da Adam Grant, psicologo della University of Pennsylvania, il quale si è interrogato su un nuovo stato d’animo percepito a metà strada tra la depressione e la prosperità (intesa come voglia di fare). È come se guardassimo la vita “attraverso un parabrezza nebbioso”, spiega Grant.
Come per altre condizioni mentali non riconosciute come vere e proprie malattie (in quanto non inserite nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), anche il languishing potrebbe venir confuso con altre situazioni, come la Sindrome da Burnout. Lo stesso Grant però, nel suo libro “Think Again: The Power of Knowing What You Don’t Know”, specifica che il “languire” è da identificare come una vera e propria assenza di benessere.
Cosa significa languishing?
Il termine “languishing”, che in italiano potrebbe essere tradotto con “languire“, è stato coniato nel 2002 dal sociologo Corey Keyes, identificando la condizione in persone che non mostravano sintomi legati alla depressione ma che portavano comunque avanti la propria vita senza fiorire o prosperare.
Questa descrizione ci aiuta a ribadire che non possiamo parlare di una vera e propria malattia mentale, ma più di uno stato che si trova tra la patologia e lo stare bene, quest’ultimo stadio identificato con il termine “flourishing“, uno stato di attività emozionale che consiste nella persona che fiorisce. Per questo motivo, tale “languire” può essere osservato in persone con bassi livelli di benessere.
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Come riconoscere il languishing?
Il Covid ha determinato un consolidamento del languishing. Se è vero che nelle prime fasi della pandemia eravamo fiduciosi e speranzosi che presto tutto sarebbe finito, con l’avanzare del tempo ci siamo ritrovati in una quotidianità caratterizzata da incertezze continue, tra lockdown, chiusure, aperture e cambi di colore delle regioni.
Sentimenti, in parte, già descritti nello stress da pandemia: “Possiamo considerare la Pandemic Fatique non come un vero e proprio disturbo, ma come un’esperienza di stanchezza e sfinimento dovuta alla condizione prolungata dell’essere sospesi in uno stato innaturale e del non essere a conoscenza della fine di questo periodo”, asseriva in una nostra intervista la dott.ssa Paola Medde, consigliera dell’Ordine degli Psicologi.
Ma oltre la pandemia, ora c’è anche la guerra in Ucraina, a cui è seguita la crisi ambientale ed energetica, con tanto di rincaro dei prezzi in ogni aspetto della nostra vita. Sembrerebbe inevitabile dunque pensare che alcuni individui abbiano sviluppato questa mancanza di benessere, collegata a una persona di motivazione devastante: ci sentiamo isolati e vulnerabili, anche dopo i numerosi lockdown provati.
Tuttavia, come già detto, non potendo parlare di malattia mentale, non possiamo identificare dei veri e propri sintomi. Lo stesso Grant, nel suo libro “Think Again: The Power of Knowing What You Don’t Know”, inquadra 3 caratteristiche per riconoscere tale condizione:
- difficoltà di concentrazione;
- disinteresse per le attività sociali;
- difficoltà a lasciare la propria zona di comfort.
Non sono mancate comunque le ricerche attorno questo “languire”. Una delle più citate è del febbraio 2021, e riguarda l’Italia, precisamente il personale sanitario della Lombardia, una delle regioni più colpite dal Covid. In base a questo studio, verrebbe provato che chi “languiva” nella primavera del 2020 aveva 3 volte più probabilità di ricevere una diagnosi di stress post-traumatico.
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Come uscire dal languishing?
La scarsa motivazione può farci scivolare nella solitudine e, addirittura, nell’indifferenza della propria indifferenza. L’ottimismo sembra scemare via, mentre l’inappetenza e la stanchezza mentale prendono il posto del “fiorire”. Come possiamo cambiare questa condizione?
La risposta potrebbe sembrare fin troppo semplicistica, ma bisognerebbe seguire il “flow“, il flusso, cioè dedicarsi a sé stessi, alle proprie esigenze, ai propri progetti e ai propri obiettivi. E farlo non nei ritagli di tempo, bensì trovando spazi non intermittenti nei quali coccolarsi e fiorire, appunto. In aggiunta, è possibile aiutarsi con piccole vittorie, fissandosi obiettivi piccoli e semplici da raggiungere, così da ottenere vittorie su vittorie che andranno nuovamente a cementificare la nostra personalità.
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