Marieke Vervoort non aveva mai nascosto le sue intenzioni. Già ai Giochi di Rio de Janeiro del 2016 era stata chiara: “Mi sto ancora godendo ogni piccolo momento. Quando avrò più giorni brutti che buoni, allora ho già i miei documenti di eutanasia, ma il tempo non è ancora arrivato” (Gazzetta). E così, martedì 22 ottobre 2019, la campionessa paralimpica belga Marieke Vervoort ha deciso: è morta per eutanasia all’età di 40 anni nella sua nazione d’origine.
Marieke Vervoort: un dibattito senza speculazioni
L’eutanasia è un argomento delicato e complesso da affrontare, soprattutto in Italia. Le recenti cronache lo hanno ampiamente rammentato. Tuttavia, di fronte alle notizie che coinvolgono scelte di vita personali, come quella affrontata da Marieke Vervoort, bisogna fare un passo indietro. Cioè, mettere da parte per un momento le diatribe, le posizioni e i punti di vista, al fine di commemorare la scomparsa di un’atleta straordinaria.
Il concetto chiave è semplice: almeno per oggi, evitiamo speculazioni di ogni tipo, da tutte le parti. Almeno di fronte a una decisione umana. E, in quanto tale, va rispettata, senza se e senza ma, senza elargire giudizi, consigli e opinioni rivolti a una persona che, ormai, non ha più modo di dire la sua.
L’ultimo atto della storia di Marieke Vervoort non deve avere bandiere politiche e sociali. Dobbiamo rispettare la persona e la sua decisione, ora più che mai. Attenzione, però: ciò non vuol dire condividere o meno la scelta, ma semplicemente non scomodare l’anima di chi, adesso, non è più con noi.
Giusy Versace: “Non riesco a commentare né a giudicare”
Come esempio al riguardo, possiamo prendere l’encomiabile tweet di Giusy Versace, nota atleta paralimpica e, attualmente, molto attiva in campo politico. “Ha scelto. Se ne va così, a 40 anni! L’ho incontrata a Rio2016. Non riesco a commentare nè a giudicare. Buon viaggio Marieke #rip”.
Perché queste parole suonano così rilevanti? Perché sono umane, rispettano la persona nella sua dimensione. Non si prodiga in sciacallaggio ideologico, istituzionale o mediatico. Si tratta di un saluto, una dedica, un ricordo di un incontro. Ecco, la vicenda di Marieke Vervoort dovrebbe avere questi toni: senza sostenitori o detrattori, ma con soli e semplici esseri umani.
Fonte foto: account Twitter dell’atleta