Il diritto al gioco per i bambini con disabilità, in Italia, è compromessa. O meglio, ha delle criticità enormi, che partono da una scuola poco inclusiva e arrivano a zone cittadine ludiche non accessibili. Il liet motiv di questa situazione, tuttavia, è sempre una: la mancanza di una cultura dedita al rispetto.
Tutto ciò è confermato da un documento dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Il diritto al gioco e allo sport dei bambini e dei ragazzi con disabilità. La sopracitata ricerca, infatti, ha raccolto numerosi dati e svariate interviste per realizzare un quadro il più possibile verosimile alla realtà attuale in termini di inclusione sportiva e ludica per i più piccini. E i risultati non sono certo positivi.
Diritto al gioco, la metodologia della ricerca
Come si legge tra le pagine del documento, il gruppo di lavoro ha “analizzato il rapporto tra gioco, sport e disabilità“. Con l’intento di approfondire “quali possibilità di accesso alle attività ludiche e sportive vengono offerte”, senza dimenticare cosa viene fatto “per favorire la loro socializzazione e inclusione nei diversi contesti ricreativi e sportivi”. Un progetto che ha coinvolto l’attenzione “dei bambini e dei ragazzi con disabilità e delle loro famiglie, dei coetanei e degli operatori del settore, nonché la rappresentatività territoriale del nord, centro e sud d’Italia”.
Una metodologia che, purtroppo, ha dovuto fare i conti con contesto amaro. In Italia “non esiste una normativa specificatamente dedicata alla rimozione di barriere culturali e mentali che favoriscano il diritto al gioco e allo sport di tutti i bambini”. Come se non bastasse, manca anche un sistema di raccolta dati che “consenta di fare una programmazione sociale e sanitaria efficace”. Statistiche assenti anche su “come i bambini con disabilità gestiscono il loro tempo libero”.
Quali dati abbiamo sul diritto al gioco
Se parliamo di spazi inclusivi, il primo pensiero va sicuramente all’accessibilità. Nel documento dell’Autorità Garante si afferma che nel nostro paese esistono 234 parchi gioco inclusivi. Il dettaglio, però, lascia un forte senso di mestizia. Solo in 152 casi ci sono le altalene per carrozzine, ad esempio. Oppure, solo 5 parchi hanno le giostrine girevoli con posti per bambini in carrozzina. Inoltre, “la piena accessibilità del parco giochi deve porre attenzione non solo alla disabilità fisica, ma anche a quella sensoriale ed intellettiva”, grande assenti nel diritto al gioco.
Cosa ci dice la ricerca?
L’indagine ha evidenziato notevoli criticità riguardo al diritto al gioco. Prendendo come riferimento le città di Milano, Roma (compreso Alatri in provincia di Frosinone) e Palermo, il gruppo di lavoro ha intervistato 238 persone, di cui 207 minorenni, e “sono stati attivati 9 gruppi tra adulti e ragazzi frequentanti le scuole secondarie di primo grado”.
Il punto di vista dei bambini normodotati
Uno dei primi risultati che salta all’occhio è il basso contatto dei bambini normodotati con la disabilità. In particolare, nel capoluogo lombardo, “il contesto principale in cui gli studenti hanno avuto modo di incontrare coetanei con disabilità risulta essere la scuola e in tanti non ricordano giochi fatti insieme o attività sportive condivise”. Nella Capitale, la situazione non migliora. Di fatto, i ragazzi “riferiscono di aver giocato con un bambino con disabilità in maniera discontinua, attraverso incontri occasionali a scuola e nel parco“. Va peggio al sud, dove gli intervistati “non riescono a rappresentarsi il ragazzo con disabilità al di fuori della sua difficoltà”. Una delle frasi pronunciate dai ragazzi e riportata all’interno della ricerca è abbastanza eloquente: “Il rischio è quello di occuparsi di lui (bambino con disabilità, ndr) come se non fosse capace, oppure di non sapere come reagire davanti alle sue difficoltà”.
Cosa ne pensano i genitori dei figli con disabilità
In questo caso, la ricerca focalizza i gruppi intervistati a Milano e a Palermo. Nel primo caso, i genitori dei figli con disabilità evidenziano “l’importanza del gioco nella vita dei loro figli”, denunciando a loro volta “la mancanza di un gioco inclusivo a livello territoriale” e quindi l’impossibilità “di ampliare le relazioni sociali”. Invece, nel capoluogo siciliano, il gioco assume diversi valori: “nella psicomotricità è terapeutico; a scuola è didattico; in ludoteca serve per socializzare”. Può diventare un caso, poi, il fatto che lo sport venga visto come “efficace nei processi di crescita ma solo se si hanno doti e talento”, in quanto “conduce all’ingresso nella struttura paralimpica, oppure come un percorso assimilabile alla riabilitazione”.
I racconti dei ragazzi con disabilità
Veniamo ora ai protagonisti della vicenda, i ragazzi con disabilità. L’indagine enfatizza subito aspetti decisamente preoccupanti: emergono vissuti “di solitudine, sperimentato sin da piccoli nel giocare da soli e, quindi, il desiderio di stare insieme ad altri sia quando si gioca che quando si fa un’attività sportiva”. Importante (quanto destabilizzante) è il silenzio espresso di fronte alla richiesta di ricordare “con cosa hanno giocato o giocano”, a testimoniare “una ‘povertà’ di gioco e oggetti”. Buone sensazioni, tuttavia, arrivano da Palermo. Molti ragazzi con disabilità intellettiva e motoria, infatti, “ricordano il gioco da bambini e il desiderio di volerlo continuare soprattutto in gruppo, perché è più divertente”. Un gioco che, comunque, resta limitato con “i vicini di casa, i fratelli o i compagni di classe”.
Cosa possiamo affermare?
Il diritto al gioco per i ragazzi con disabilità resta un’utopia, per una serie di criticità strutturali e culturali. In primis, l’assenza di una diffusione di zone accessibili rende complessa l’esistenza di posti dove socializzare. In seconda istanza, la scuola non sembra essere un polo di reale dialogo tra le diversità dei bambini. Anzi, diventa quasi una prigione di solitudine, dove manca l’assenza di un mediatore. Mediatore che viene visto nell’adulto, il quale dovrebbe, secondo la ricerca, far parte delle attività del bambino con disabilità per eventuali problematiche. Problemi e criticità che, a loro volta, diventano le caratteristiche base per evidenziare un ragazzo disabile. In linea generale, “emergono sentimenti di paura derivanti dalla mancata conoscenza della e delle disabilità”.
Il lavoro dei Comuni nella sensibilizzazione
Un capitolo a parte lo meritano i diversi Comuni interrogati all’interno di questa ricerca, sempre in materia di diritto al gioco. Nella pratica, sono stati interrogati 173 Comune, con un ammontare di 4 milioni di abitanti (circa il 7% della popolazione italiana). I risultati ottenuti sono abbastanza altisonanti rispetto all’obiettivo di inclusione sociale. Basti pensare, ad esempio che solo il 31 % di queste istituzioni promuovono campagne di sensibilizzazione per l’inclusione dei bambini e ragazzi con disabilità nelle attività ludico sportive. Resta quindi aperta una sfida millenaria, di base culturale e con sfondo istituzionale. Un lavoro che deve partire dagli enti proposti, in modo tale che le generazioni future possano guardare alla diversità come normalità.