Intervista ai Ladri di Carrozzelle: "La nostra è prima di tutto una band, ma in 30 anni di carriera ci è capitato tutto il contrario di tutto"
La pandemia ha tolto qualcosa anche ai Ladri di Carrozzelle: “A novembre 2019 eravamo stati in Uganda per un concerto, ed era andata così bene che avevamo già in programma altre date clamorose: Tokyo, Mosca, New York, addirittura Samarcanda”.
Ce lo racconta con grande passione Paolo Falessi, chitarrista, responsabile e fondatore della band, che durante la nostra chiacchierata non nasconde di aver vissuto (artisticamente parlando) un anno paradossale, seppur con la privazione dei concerti fuori Italia.
“Stranamente siamo dei privilegiati, perché è stato uno degli anni più impegnativi della nostra storia. Abbiamo avuto la fortuna di avere il contratto per una trasmissione che va in onda su RAI2, dal titolo ‘O anche no‘, che ci sta tenendo impegnati come non mai, con la produzione di 2 canzoni a settimana. Finché abbiamo potuto, le abbiamo registrate normalmente, poi quando c’è stato il lockdown abbiamo dovuto imparare nel giro di pochi giorni a fare tutto da casa, sia la parte audio che video.
È stata una cosa straordinaria, chiaramente non paragonabile ai concerti del vivo, ne siamo riusciti a fare solo quattro la scorsa estate, ma devo dire che è stato un anno interessantissimo. Abbiamo imparato a fare tante cose nuove, soprattutto lato video, e siamo stati impegnati nella scrittura e nell’arrangiamento delle canzoni. Sì, è stato un anno da privilegiati, mentre abbiamo troppi amici che sono nei guai.”
“In Italia lo spettacolo non è mai stato visto importante dal punto di vista economico. Le magagne poi sono venute fuori con il lockdown: tante persone che lavoravano a giornata o in nero si sono trovate con le spalle scoperte, e sono state messe in ginocchio dalla pandemia. È un problema culturale.
Ho un amico che è stand-up comedian a Londra e percepisce contributi anche dal pub con 20 persone. Questo in Italia è fantascienza, non c’è la mentalità che l’artista sia un lavoratore. Poi tanta gente lo fa per divertimento, ma a chi lo fa per lavoro non viene riconosciuta professionalità da sempre.”
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“Per noi è anche peggio. Nel corso dei nostri 30 anni di carriera, come accade a tutte le band, abbiamo trattato per alloggi confortevoli e, nel nostro caso, accessibili, ma spesso ci veniva detto: ‘Già li facciamo suonare [riferito agli artisti con disabilità della band, ndr], volete pure tutte ‘ste cose?’. La nostra risposta è sempre la stessa: ‘Noi abbiamo tante richieste per suonare, non ci interessa di venire da te’ [ride, ndr].
Ci trattano come se ci stessero facendo un favore a farci suonare. Noi però impieghiamo centinaia di ore di preparazione per uno spettacolo, non è che ‘li facciamo suonare’: il nostro è uno spettacolo professionale.”
“Con la qualità. La frase che sento da 30 anni è: ‘Non ci saremo mai aspettati una cosa del genere’. Quando sali sul palco e fai uno spettacolo professionale, la gente cambia. Noi usiamo dire che sul palco si sale da handicappati e si scende da artisti.
Quando siamo sul palco, notiamo gli sguardi della gente pieni di commiserazione e pietismo, neppure nascosto troppo bene; quando scendiamo, invece, le persone vanno a chiedere l’autografo a quello in carrozzina o a fare un selfie con il ragazzo con la Sindrome di Down.”
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“Ma per noi è sempre così. Da una parte è una benedizione, perché sei comunque costretto a non stare mai tranquillo e a fare nuove cose, devi alzare l’asticella. Dall’altra è scoraggiante perché c’è tanta gente che ancora ci fa suonare in situazioni non adeguate, e per una band con 30 anni di carriera è impensabile. C’è sempre la disabilità che crea un filtro sbagliato.”
“Fino al 31 maggio siamo impegnati in televisione, ma dal primo giugno abbiamo un tour che stiamo finendo di organizzare. Stanno anche arrivando diverse richieste, ma tutte dipenderanno dai futuri Dpcm.
Tra l’altro abbiamo vinto un bando importante per suonare nelle scuole e nelle piazze. A causa della pandemia, però, alle scuole manderemo una registrazione di uno spettacolo bello e divertente, mentre nelle piazze siamo ancora confermati. Quest’estate non vogliamo stare fermi, ma se non possiamo suonare gireremo dei videoclip.”
“Sì, è un linguaggio che non puoi trascurare. Poi diventa di fondamentale importanza per stare insieme alle persone che stimi e poter fare qualcosa di artisticamente valido. Stavamo anche riuscendo a realizzare il sogno di suonare all’estero, ma il Covid ci ha bloccato. Puoi immaginare lo scetticismo di quelli che pensavano che suonare in Uganda non sarebbe stato possibile, e invece è andato tutto benissimo.
In 30 anni è successo tutto il contrario di tutto, ma deve passare il messaggio che questa è la storia di un gruppo musicale, e che poi c’è qualcuno in carrozzina. Tra l’altro nella band ora ci sono poche persone in carrozzina, perché abbiamo aperto la formazione a ogni tipo di patologia, abbiamo anche ragazzi con sindrome mai sentite, con autismo e con storie complicate. Ma la musica fa la sua magia e le rende semplici, ti fa andare oltre a tutte le limitazioni che la vita (e tu stesso) ti dà.”
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Ultima modifica: 19/03/2021