La Legge 194/78 in Italia regola l'interruzione volontaria di gravidanza attraverso l'aborto farmacologico e l'aborto chururgico
La Legge 194/78 in Italia regola l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), garantendo alle donne il diritto di decidere entro i primi 90 giorni di gestazione, per vari motivi quali la salute, economici, sociali, o familiari. La legge prevede un approccio orientato alla prevenzione dell’aborto e alla protezione sociale della maternità, promuovendo il ruolo dei consultori familiari.
Questa legge appresenta un compromesso storico tra la tutela della salute e i diritti riproduttivi della donna e l’interesse pubblico alla protezione della vita nascente, cercando di bilanciare questi aspetti attraverso un accesso regolamentato e supportato all’interruzione volontaria di gravidanza.
Ogni anno il Ministro della Salute è tenuto a presentare al Parlamento una relazione dettagliata sull’IVG, basata sui dati raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità e da altre istituzioni sanitarie. Questo serve a monitorare l’andamento dell’IVG in Italia e a migliorare le strategie di prevenzione.
Il medico inoltre è tenuto a fornire alla donna informazioni dettagliate non solo sull’intervento di IVG ma anche su metodi di contraccezione per evitare gravidanze non pianificate in futuro. La trasparenza e la disponibilità di queste informazioni sono cruciali per garantire che le politiche di salute pubblica siano efficacemente implementate e che le donne ricevano l’assistenza necessaria in modo informato e rispettoso dei loro diritti.
La legge italiana numero 194 del 1978 regola l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) e stabilisce specifici passaggi e procedure che le donne devono seguire per accedere a tale servizio. Ecco i passaggi chiave:
Queste disposizioni assicurano che la donna abbia accesso a un processo chiaro e supportato per l’interruzione volontaria di gravidanza, rispettando al contempo i suoi diritti e le sue esigenze in un momento delicato e personale.
L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) può essere effettuata attraverso due principali metodi: l’aborto farmacologico e l’aborto chirurgico. Entrambi i metodi sono supportati da protocolli medici stabiliti e la scelta tra l’uno e l’altro dipende da vari fattori, tra cui il tempo di gestazione e le preferenze personali della donna. Di seguito, una descrizione dettagliata di entrambi i metodi.
L’aborto farmacologico è un’opzione di interruzione volontaria della gravidanza che può essere effettuata entro i primi 63 giorni di gestazione, ovvero fino alla nona settimana. Questo metodo è scelto per il suo approccio non chirurgico e la possibilità di essere gestito in regime ambulatoriale. Ecco i passaggi tipici coinvolti nel processo: prima di procedere con l’aborto farmacologico, la donna si sottopone a una valutazione medica completa in una struttura ospedaliera o clinica. Ecco, nel dettaglio, cosa prevedere l’iter normativo:
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La prima somministrazione è il mifepristone, che viene somministrato per via orale. Questo farmaco blocca l’effetto del progesterone, un ormone cruciale per il mantenimento della gravidanza. Dopo 48 ore dalla prima dose, viene somministrato il misoprostolo. Queste compresse sono generalmente lasciate sciogliere sotto la lingua per indurre contrazioni uterine che porteranno all’espulsione del tessuto gravidico. Questa fase è cruciale e avviene in ospedale, nonostante il processo generale sia ambulatoriale.
Di solito, entro tre ore dalla somministrazione di misoprostolo, avviene l’espulsione, simile a un intenso sanguinamento mestruale. Viene poi effettuata un’ecografia per confermare la completa interruzione della gravidanza. In casi rari, se l’aborto non si conclude con successo, possono essere necessarie ulteriori somministrazioni di misoprostolo o, in alcuni casi, un intervento chirurgico.
La procedura specifica e i tempi possono variare a seconda della struttura ospedaliera e delle sue linee guida internazionali, anche se la pratica dovrebbe essere standardizzata. Alcune strutture potrebbero richiedere il ricovero a scopo precauzionale o in base alle politiche interne, nonostante l’abolizione del requisito di ricovero obbligatorio.
Dopo aver controllato che ci sia tutta la documentazione necessaria, identica a quella dell’aborto farmacologico (certificato, ecografia, documenti), si effettua il ricovero e le analisi del sangue (a meno che non siano state effettuate privatamente o precedentemente).
Dove è prevista l’anestesia generale, si ha un colloquio con l’anestesista. Talvolta l’intervento è preceduto dalla somministrazione di farmaci che facilitano la dilatazione del collo dell’utero (per via vaginale o sub-linguale). L’intervento si chiama isterosuzione e viene eseguito in anestesia locale o generale.
Durante l’intervento, si dilata il collo dell’utero in modo da poter entrare con una cannula (metodo Karman) e si esegue l’aspirazione del contenuto. Raramente l’intervento può essere eseguito con una curette di acciaio, come nel classico raschiamento dell’utero (RCU o revisione della cavità uterina).
Dopo l’interruzione volontaria di gravidanza, in un periodo di tempo variabile a seconda dello stato della donna (parametri vitali, emozioni), avviene la dimissione dall’ospedale. Potranno seguire perdite di sangue per circa 15/20 giorni, dopo di ché è opportuno ripetere un test di gravidanza sulle urine per essere sicure che siano scomparsi dal sangue gli ormoni relativi alla gravidanza. Le mestruazioni torneranno dopo 30 o 40 giorni dall’intervento, ma è importante iniziare subito dopo l’intervento a utilizzare il metodo contraccettivo prescelto. Si può chiedere prima dell’intervento se durante lo stesso è possibile inserire una spirale intra-uterina.
L’IVG fino ai 90 giorni è un diritto inalienabile della donna. Dopo, invece, visto che il feto ha iniziato a formarsi, bisogna sottostare alla normativa vigente. Può essere praticata dopo i 90 giorni quando la prosecuzione della gravidanza o il parto rappresentino un grave pericolo per la vita della donna. Il pericolo deve essere accertato e documentato da un medico specialista del servizio ostetrico e ginecologico responsabile dell’intervento, eventualmente con la collaborazione di altri specialisti.
L’interruzione di gravidanza è anche permessa in presenza di gravi anomalie o malformazioni del feto che potrebbero danneggiare gravemente la salute psicofisica della madre. Anche in questo caso, la diagnosi deve essere confermata e documentata medico-specialisticamente.
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Ultima modifica: 20/05/2024