Inserimento lavorativo disabili: ll diritto al lavoro delle persone disabili è sempre stato un aspetto sul quale il governo italiano si è dibattuto. A partire dagli anni ’60, sono state emanate normative che garantissero un sostegno e un collocamento obbligatorio da riservare alle persone con disabilità. Già la legge 482/68 “Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche Amministrazioni e le aziende private”, obbligava enti pubblici e diverse tipologie di aziende private ad assumere persone con invalidità senza però tener conto delle competenze del disabile e la qualità dell’inserimento lavorativo, aspetti presi in considerazione dalle leggi successive e in particolar modo dalla legge 104/92, in cui venne sancito il principio di valutare il soggetto rispetto alla concrete capacità lavorative-relazionali.
Prevede quindi un collocamento mirato delle persone con handicap dopo aver fatto attente valutazioni da parte di istituzioni regionali e provinciali, dai servizi delle ASL e dai Comuni. I servizi per l’impiego provinciali si avvalgono di un Ufficio provinciale per l’inserimento lavorativo, a cui fanno riferimento specifici comitati tecnici, formati da impiegati ed esperti del settore sociale e medico-legale, che stilano un programma individualizzato e dettagliato per ogni persona iscritta alle liste di collocamento. I loro compiti sono quelli di valutare le reali capacità e potenzialità lavorative dei lavoratori disabili, definire gli strumenti utili all’inserimento lavorativo e al collocamento mirato predisponendone un piano di tutoraggio e orientare i lavoratori disabili verso nuovi corsi di formazione o aggiornamento per sviluppare e approfondire nuove capacità.
Gli aventi diritto sono:
Invece i soggetti obbligati ad assumere persone con disabilità sono:
Essi sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori disabili nella misura del 7% dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti; di due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti; e di un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti. Non possono risultare lavoratori disabili gli invalidi interni ovvero il personale divenuto invalido dopo l’assunzione.
Le condizioni di disabilità vengono accertate dalle commissioni previste dalla legge 104/92. Inoltre, i datori di lavoro, pubblici e privati, sono tenuti a salvaguardare il mantenimento del posto di lavoro a quei soggetti che, non essendo disabili al momento dell’assunzione, abbiano acquisito per infortunio sul lavoro o malattia professionale eventuali disabilità.
Le modalità di assunzione avvengono nel momento in cui i datori di lavoro obbligati fanno richiesta di avviamento di tale procedura presso gli uffici competenti oppure mediante convenzione.
Le assunzioni tempo indeterminato o determinato, possono prevedere forme di part-time, possono avvenire nella forma dei contratti di apprendistato e inoltre, possono essere realizzate all’interno di piani specifici regolati dalle convenzioni che si vengono a creare tra gli enti provinciali o regionali e gli stessi datori di lavoro.
Sia mediante richieste di avviamento o mediante convenzioni, i datori di lavoro devono presentare richiesta di avviamento agli Uffici competenti entro 60 giorni dal giorno successivo alla data in cui insorge l’obbligo stesso.
Successivamente alla richiesta inoltrata, gli Uffici competenti iniziano l’iter di incrocio tra domanda e offerta. Il collocamento mirato ha quindi lo scopo di supportare il disabile dopo una adeguata valutazione delle sue capacità lavorative e disabilità, e aiutarlo ad inserirsi nel posto più adatto, attraverso analisi adeguate, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi.
Anche se il dato non è incoraggiante, negli ultimi anni per far si che aumenti in modo considerevole il numero di persone con disabilità nei luoghi di lavoro si è cercato di attivare un insieme di strumenti e azioni svolte in sinergia da più servizi in rete tra di loro, proprio per favorire l’integrazione lavorativa dei disabili.
Oggigiorno si parla di Buone Prassi per indicare quelle esperienze operative di particolare successo e rilevanza che possono essere di esempio. La caratteristica principale della buona prassi è la cooperazione che si viene a creare tra tutti i soggetti coinvolti nell’inserimento lavorativo dei disabili. L’integrazione lavorativa di persone svantaggiate deve necessariamente essere accompagnata da una metodologia di intervento mirata che favorisca l’incontro tra contesto lavorativo e persona con svantaggio e lo integri pienamente nel nuovo ambiente lavorativo. Gli indicatori di qualità delle buone prassi prevedono accordi territoriali stabili di collaborazione con istituzioni, agenzie formative, con cooperative sociali, figure professionali dedicate all’inserimento e strumenti di progettazione, gestione e valutazione dei percorsi di successo.
È necessaria l’esistenza di questi progetti di cooperazione tra i vari soggetti perché si è notato che le sole agevolazioni fiscali per i datori di lavoro che assumono persone con disabilità non servono a garantire il loro inserimento. Anche se la legge 68/99 dispone ogni anno di un fondo pari a 31.000.000 di euro per fiscalizzare gli oneri contributivi, rimborsare parzialmente le spese per l’adeguamento del posto di lavoro e finanziare attività volte a favorire l’inserimento lavorativo dei disabili sono strumenti legislativi che senza essere accompagnati da altri strumenti sociali non permettono un’integrazione positiva e soddisfacente del disabile.
In ambito regionale e provinciale esistono vari progetti per favorire l’inserimento lavorativo dei disabili psichici. La legge 381/91 prevede l’inserimento lavorativo di invalidi psichici, ex-degenti di Istituti psichiatrici e soggetti in trattamento psichiatrico presso cooperative sociali. La prima cooperativa, nata a Trieste nei primi anni 70, fu una sorta di verifica di un nuovo metodo terapeutico, che riconosceva la qualifica di socio lavoratore a quei pazienti che in precedenza erano costretti a lavorare senza alcuna retribuzione e senza diritti civili. I risultati furono sbalorditivi e sorsero così altre cooperative – simili nella struttura costitutiva e organizzativa – con lo scopo di inserire o reinserire nel mondo del lavoro disabili e altri svantaggiati, come ex-alcolisti o ex-carcerati.
Attualmente molte cooperative sociali ed enti presenti in molte regioni italiane sperimentano percorsi lavorativi speciali per persone con disabilità. Come afferma Valentina Amoruso nella rivista Diritto e lavoro (n. 1, 2009) sul nostro territorio “si snodano realtà diversificate: contesti più protetti (quali centri socio-educativi e laboratori protetti), si pongono obiettivi di produttività più limitati e perseguono finalità essenzialmente educative, mentre le cooperative sociali offrono un’opportunità di inserimento lavorativo più concreta e stimolante per il soggetto con handicap psichico. Tali cooperative (anche dette integrate o cooperative di tipo B), ai sensi della legge n. 381/91, hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione dei servizi sociosanitari ed educativi e mediante lo svolgimento di attività (agricole, industriali, commerciali o di servizi) finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate”.
Ultima modifica: 08/03/2020