Sono sul divano, fuori piove, i caloriferi ancora rigorosamente spenti. Quest’anno l’autunno è arrivato in ritardo e ci siamo goduti delle ottobrate quasi allarmanti; ormai il cambiamento climatico sta entrando nelle nostre corde, ci stiamo facendo tristemente l’abitudine. Il governo è cambiato e la mia preoccupazione è cresciuta.
Il mondo che vorrei non prevede discriminazioni tra ricchi e poveri, non prevede agevolazioni per le classi sociali più agiate, ma un’equa distribuzione dei servizi. Quando esco la mattina non vorrei vedere il senza tetto che raccoglie le sue cose per migrare in cerca di un pasto, non vorrei vedere la pattuglia dei poliziotti chiamati a controllare ragazzi di colore seduti su una panchina, sospetti solo per la cromatura della pelle.
Vorrei che il mondo assomigliasse di più a quelle belle scene vissute a Bologna, città che mi ha dato il migliore esempio di inclusione della mia vita. Per esempio, cosa ci vuole a capire che un migrante è una persona che lascia il proprio paese alla ricerca di condizioni migliori? Cosa ci vuole a fare quel piccolo sforzo di empatia ed immaginarsi di partire soli, con uno zaino, lasciandosi tutto alle spalle. Ma non per andare a fare il cammino di Santiago, in mezzo a pellegrini e spiritualità. Chi migra lo fa per necessità e spesso in condizioni disastrose, incerte; fatica, violenza, sofferenza sono il prezzo da pagare per chi cerca una vita nuova. Spesso la morte li ferma prima.
E noi, davvero non riusciamo a immaginarci tutto questo? Davvero vogliamo continuare ad ignorare questa tragedia umana e chiuderci in un egoistico “Prima gli italiani”? (mai pensato).
Mi piacerebbe uscire di casa e vedere sorrisi, tempo libero, tempo da dedicare a figli, parenti, amici; mi piacerebbe vedere una società che partecipa, che si informa, che è pronta a cambiare il punto di vista quando necessario. Mi piacerebbe che lo scambio culturale diventi il pane quotidiano e che le minoranze non siano più chiamate tali, ma che siano tasselli di un puzzle colorato e ritenuto incompleto senza di loro.
Vorrei vedere più spesso, e non solo sui canali social che scelgo di seguire, le famiglie arcobaleno, le coppie omosessuali baciarsi e prendersi la mano per strada, sorridere, sentirsi libere di dimostrare il proprio amore senza nessun timore. Vorrei che quelle persone frustrate ed ignoranti che criticano e danneggiano tutto ciò, scoprissero che quell’odio che riversano sugli altri li consumerà poi da dentro.
Spero un giorno di avere dei bambini insieme a mio marito e vorrei per loro un mondo aperto alla diversità, non solo in termini concettuali, ma legislativi. Un mondo in cui i diritti per le persone con disabilità siano rafforzati e rispettati e in cui sia facile domandare senza offendere, informarsi senza essere indiscreti. Un luogo in cui le persone LGBTQIA non debbano giustificare a nessuno il proprio essere, ma possano rivestire qualsiasi carica, incarico, posizione lavorativa solo in base ad un sistema meritocratico.
Quello che mi piace delle nuove generazioni è che sono pronte a questo. Si sono formate sui social, si informano più facilmente anche di come lo facevano noi trentenni alla loro età. Non sono degli smidollati, ma conoscono i loro diritti e non si svendono.
Io, da parte mia, cerco di avere una visione ampia sul mondo, viaggio, ascolto le persone, leggo le notizie, gli approfondimenti; non giudico qualcosa che non conosco, ma provo invece a capirlo.
Scrivere le mie idee nero su bianco è un modo per raccontarvi com’è il pensiero di un’atleta paralimpica che da anni vive la disabilità, esplora il mondo, parla le lingue, si confronta e si mette in discussione. Forse a non tutti è data l’opportunità di vivere una vita come la mia, ma di certo nessuno vi vieta di fermarvi a riflettere un po’ di più su quello che davvero conta.
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Ultima modifica: 21/11/2022