Il divario retributivo di genere, noto anche come gender pay gap, è un fenomeno molto diffuso in Europa e in Italia. Scopriamo qualche dato
In inglese è noto come gender pay gap, in italiano come divario retributivo di genere, ma il concetto resta sempre lo stesso: in Italia e in altre parti del mondo esiste una differenza media salariale che danneggia principalmente le donne.
Questa discrepanza salariale, che rientra nel discorso riguardante il gender gap, è profondamente radicata nella cultura patriarcale, che permette così all’uomo di avere maggiore potere economico-lavorativo rispetto alla donna.
In questo approfondimento, esploreremo la natura del gender pay gap, le sue cause, la situazione attuale a livello europeo e in Italia e discuteremo le strategie per superare questa disparità.
Il divario retributivo di genere rappresenta la differenza percentuale media tra la retribuzione oraria degli uomini e quella delle donne. Questo divario retributivo di genere non riguarda uno specifico lavoro, ma anzi varia a seconda del settore, della qualifica, dell’età e in Italia anche della regione.
Definire una causa principale che ha portato alla nascita del gender pay gap è molto complesso, in quanto possiamo trovare ragioni multifattoriali. In primis, ovviamente, dobbiamo parlare del patriarcato, che rende sistemico questo divario di genere retributivo.
In secondo luogo, dobbiamo considerare altri fattori storici-culturali, come gli stereotipi insiti nel mondo del lavoro per cui certe occupazioni vengono considerate “maschili” o “femminili”. Ciò influenza in larga misura non solo l’accesso al lavoro, ma anche il livello di retribuzione.
Inoltre va considerato che un ruolo di leadership e di potere viene più facilmente concesso ai lavoratori rispetto alle lavoratrici, e ciò è un aspetto fondamentale nel momento in cui va discussa una negoziazione salariale. Un trend che ci viene confermato dal Parlamento Europeo: nel 2020 le donne dirigenti erano solo il 34%, oltre a guadagnare il 23% in meno all’ora rispetto agli uomini manager.
In aggiunta le donne vengono spesso relegate al ruolo di cura, soprattutto in ambito familiare, e dunque vengono costrette ad accettare lavori part-time precari e dalle poche possibilità economiche. I dati Eurostat 2021 ci dicono ad esempio che quasi un terzo delle lavoratrici UE lavora part-time, contro l’8% degli uomini.
Da qui si apre poi il discorso delle interruzioni di carriera, a cui sono più soggette le donne: in base ad alcuni dati del 2018, il 30% delle lavoratrici nell’Unione Europea ha subìto un’interruzione di carriera per motivi di custodia dei figli, rispetto all’1,3% degli uomini.
Più in generale, in base all’elaborazione di Openpolis sui dati 2021 di Eurostat consultati nel 2023, in Europa le lavoratrici guadagnano il 12,7% in meno rispetto ai lavoratori. Il divario retributivo di genere più alto si registra in Estonia (20,5%), Austria (18,8%) e Germania (17,6%).
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Ogni Paese ha un proprio mercato del lavoro, delle politiche locali ben definite e settori lavorativi più sviluppati rispetto ad altri. Per cui mettere a confronto Stati diversi non ci aiuta a definire un quadro specifico e approfondito. A livello europeo possiamo sicuramente ottenere una cartina tornasole, ma bisognerebbe consultare la situazione specifica di ogni nazione.
In base al grafico visto poco fa, l’Italia sarebbe uno dei paesi europei in cui il divario di genere retributivo è minore: quintultimo posto con il 5%, circa 8 punti percentuali in meno rispetto alla media europea. Ciò però non significa che il Bel paese brilli al riguardo.
Se andiamo a vedere nello specifico infatti l’Italia ha seri problemi di gender pay gap. In base a quanto rilevato dall’ODM Consulting, società di consulenza HR di Gi Group Holding, le lavoratrici possono guadagnare dai 3mila euro ai 16mila euro in meno a seconda dell’inquadramento, come riporta La Stampa.
I dati del novembre 2023 dell’Osservatorio INPS invece ci dicono che complessivamente le lavoratrici guadagnano quasi 8mila euro all’anno in meno rispetto ai lavoratori, ed è un dato addirittura in aumento, visto che nel 2021 era di 7.908 euro e nel 2022 di 7.922 euro.
E le cause di questo gender pay gap in Italia sono le più disparate. Ad esempio, nel 2022 i contratti part-time per le lavoratrici sono stati 3.584.665, contro i 2.066.260 dei lavoratori. Inoltre, solo il 35% delle donne ha ruoli manageriali e gli scatti di carriera sono più agevoli per gli uomini.
Infine spesso le donne in Italia sono costrette ad accettare lavori non retribuiti di cura, come dedicarsi completamente ai figli o diventare caregiver familiare. A rendere ancora il quadro più problematico, c’è da sottolineare che le donne vengono spesso inserite in settori caratterizzati da bassi stipendi.
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Superare il gender pay gap richiede un approccio multidimensionale. È fondamentale implementare politiche che promuovano la parità di retribuzione per lavoro di pari valore, insieme a misure che facilitino l’equilibrio tra vita professionale e personale, come la flessibilità lavorativa e i congedi parentali equamente distribuiti tra uomini e donne.
L’educazione e la formazione possono ridurre la segregazione occupazionale, mentre una maggiore trasparenza nelle politiche salariali può limitare le discriminazioni. Infine, il sostegno alle donne in posizioni di leadership e nelle fasi di negoziazione salariale può contribuire significativamente a ridurre il divario.
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Ultima modifica: 07/03/2024