Si intitola "Calze in cashmire" ed è l'autobiografia con la quale Federica Maspero si racconta come atleta e persona. L'abbiamo intervistata
La sua vita tra malattia (meningite fulminante), coma, sport, lavoro e inserimento nella società: con “Calze in cashmere“, Federica Maspero si racconta completamente, come atleta, come oncologa, come persona. Un’autobiografia densa di introspezione, con una nota in più: “Nel libro parlo anche di adozione, sebbene sia un tema spinoso”. L’abbiamo intervistata.
“Grazie alla mia esperienza sportiva, ho imparato il valore di condividere. Sono arrivata alla possibilità di fare eventi nelle scuole per portare la mia testimonianza su che cos’è la disabilità, e ho iniziato a capire quanto bene mi facesse condividere. Ogni volta che tornavo a casa, mi sentivo arricchita. Quindi ho iniziato a pensare di scrivere un libro dopo i primi successi sportivi.
Mi è stato chiesto dall’editore di San Paolo se avevo voglia di raccontarmi. Ho avuto richieste da altri giornalisti, che però volevano un po’ travisare. Invece ho accettato la proposta di Edizioni San Paolo perché ho avuto la certezza di poter raccontare esattamente ciò che avevo vissuto e come lo avevo vissuto, senza enfatizzare successi o sconfitte, senza che la mia storia venisse in un certo senso romanzata.”
“Ho avuto la percezione che volessero enfatizzare l’aspetto dell’eroe. Non volevo che venisse raccontato ciò che non era il mio vissuto. Perché, alla fine dei conti, il mio è un vissuto di serenità, caratterizzato da momenti di soste, pause, delusioni… Non ho mai interrogato il mondo, ma ho sempre interrogato me stessa sul perché mi accadessero certe cose.
È questo lo spaccato che volevo dare al mio libro, di un’introspezione profonda. Tra l’altro scrivere mi ha aiutato, è stato molto catartico. È partita un po’ con la voglia di non nascondere niente e capire che per me poteva essere importante, ma volevo raccontare il mio vissuto nell’esatta maniera in cui mi era successo, sia negli aspetti più crudi che in quelli gioiosi.”
“In realtà ho avuto la percezione del coma, consapevole che stavo affrontando qualcosa di grosso e importante, una lotta con la vita. Se da una parte ho avuto la percezione di un’assoluta quiete e armonia attorno a me, dall’altra ho percepito una sorta di viaggio con la mia mente in molto parti del tempo.
L’ho raccontato come una sorta di viaggio perché l’avevo vissuto così, perché sapevo che stavo lottando contro una malattia molto grave. Quando mi hanno tolto la sedazione, ho avuto le percezioni che stavo male, che ero in ospedale e che ero in una situazione di gravità. Ma non sapevo che mi avessero amputato le gambe.”
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“Chi leggerà il mio libro non potrà pensare a ‘Federica Maspero è una supereroina’, ma leggerà il racconto di una persona che ha lottato per ottenere quello che desiderava nella vita. Un po’ quello che siamo chiamati tutti a fare. Io ho avuto ostacoli particolarmente grossi, sono una che di sfide se n’è cercate tante, perché ho sempre voglia di andare oltre, di arrivare a esprimermi su tanti aspetti, anche quelli più impegnativi.”
Non mi pongo dei limiti, e in questo il coma mi ha aiutato. Questa sorta di limbo spazio/tempo mi ha dato la percezione che ho solo una vita da vivere. Quindi sono proiettata sul poter fare molte cose, di obiettivi me ne pongo tanti: di relazione, di amore, di famiglia, di sentirmi appagata da quello che faccio quotidianamente. Leggendo il mio libro, spero che il lettore possa capire che non è stato tutto facile, che di fronte a ogni traguardo c’è stata una ricerca nel perseguirlo. Ad esempio, nel libro racconto com’è vissuta la disabilità nella società.”
“Avrei potuto decidere di dare molto più spazio alla mia esperienza nel mondo paralimpico, vivendo la mia vita da atleta, dove il confronto sarebbe stato con persone che avevano ognuno la propria disabilità. Forse avrei avuto meno difficoltà rispetto a ciò che ho fatto: il volermi realizzare, anche dal punto di vista professionale, mi ha portato molte volte a scontrarmi con una società dove la disabilità non era la norma (come nel mondo paralimpico), con tutto il carico di difficoltà connesso. Difficoltà che nella mia testa però non ci dovevano essere, proprio per come io avevo vissuto ciò che mi ero accaduto.”
“In realtà sono proprio scelte, perché ho deciso di integrarmi al 100%. Perché la mia disabilità non doveva essere un problema. E quindi integrarsi con il mondo del lavoro ha voluto dire scontrarsi con una serie di problematiche, come vedere la mia disabilità usata per farmi lo sgambetto. Su queste cose nel libro scavo: lo fanno perché sono disabile o perché è così il mondo del lavoro? In realtà l’hanno fatto perché è il mondo del lavoro, con le sue regole.”
“Nel libro c’è scritto l’aneddoto che lo spiega.”
“L’ho già detto in altre occasioni. Risale al tempo in cui mio marito, durante uno dei nostri primi Natali insieme, mi ha regalato un paio di calze in cashmere per tenermi in caldo i piedi, dimenticandosi della mia disabilità. Quello è l’esempio di come mi sia integrata, che non avevo messo la disabilità al centro della mia vita. Non l’ho fatto nella società, ma non l’ho fatto neanche nella mia famiglia. E sono riuscito a farlo talmente bene, che anche nella mia famiglia se ne sono dimenticati. Poi ovvio che mio marito si è accorto della gaffe, ma è rimasto il gesto di amore incondizionato.”
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Ultima modifica: 28/06/2021