Nel 2011, anno che per disastri personali potrebbe essere tranquillamente paragonato al 2020, ho deciso di iscrivermi a un sito di incontri, quello che all’epoca andava per la maggiore.
Lavoravo molto e di conseguenza la mia vita sociale era pressoché inesistente e così, vincendo tutte le mie resistenze, mi sono decisa. Una sera ho creato il mio profilo con le informazioni di base e due foto, una del viso e una seduta sul divano con il mio cucciolo.
Sono stata sincera fino in fondo, ho scritto che ero alta 1.41, anche perché non avrei voluto che capitasse a me qualcuno che, mentendo, si fosse spacciato per un persona normale e magari invece dal vivo era Brad Pitt. Giammai.
L’estrema facilità con cui si può dire ti amo
Ho messo il profilo online e ricordo che, agitatissima, aspettavo davanti allo schermo con un occhio semiaperto pensando che nessuno mi avrebbe mai considerata. Invece, dopo una decina di minuti sembrati interminabili, è arrivata la prima sbandata, strumento attraverso il quale una persona dichiarava il suo interesse.
Era la prima volta per me, ero totalmente digiuna di queste dinamiche e soprattutto dell’umanità che popolava questi siti. La maggior parte erano uomini sposati (“sono un uomo incompreso”, “mia moglie non mi capisce..”, “come mi capisci tu non mi capisce nessuno”) o fidanzati e tutti, anche quelli spaiati come i calzini, avevano un’enorme facilità a dire ti amo o a chiamarmi amore già dalla prima volta. Trovavano invece molto difficile dire “Li vuoi quei kiwi”. Lo capisco, dire una frase del genere comporta assumersi delle responsabilità che un ti amo non implica…
Da neofita di questo tipo di siti e di comunicazione virtuale, io ero in buona fede e propensa a credere che anche l’altro lo fosse. Per cui alle frasi “ti voglio bene”, “mi piaci un sacco”, “sei bellissima”, tendevo a crederci (e sottolineo tendevo) perché dicevo a me stessa: “Che motivo avrebbe di dirle?”.
La prima volta in cui il tipo che mi interessava ha scritto che mi amava ricordo che sono uscita sul balcone, tipo il Papa, e ho invitato tutto il quartiere al mio matrimonio.
Io invece non mi sbottonavo molto perché… perché avevo una paura fottuta. Nonostante stessi riscuotendo un successone (che ne sapevo io che ero una che incontrava, cit.), sapevo che non tutti sarebbero stati in grado di sostenere me, le mie cicatrici e il mio essere diversa. Devi avere una forte interiorità per non aver bisogno di avere accanto un’immagine di rappresentanza per sentirti sicuro…
Per chi legge: chi ha inventato il detto “altezza mezza bellezza” di certo non si riferiva a me. Quando sono nata il medico disse a mia madre: “Signora la sua bambina è sana, perfetta. Crescerà solo più piccola delle altre. E piccola è una parola grossissima…” (però compenso con l’ironia).
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Dire ti amo: non si può credere a qualsiasi cosa
Non è così facile volere bene. Non a me. E non è così facile e scontato crederci.
Quando da bambina, da adolescente e a volte anche da adulta sei stata oggetto di derisione, di pregiudizi e di razzismo solo in base ad una forma fisica che non hai scelto e che comunque non è così male come vogliono farti credere, secondo voi si può credere a qualsiasi cosa ti dicano? No, proprio no.
Una sera decisi di sottoporre ad un test una persona che in quel momento mi corteggiava assiduamente. Pensavate che la disabilità fosse il problema? No, no, il mio problema principale è che ho il cuore vicino al sedere (cit.).
Gli raccontai delle operazioni che avevo fatto e che ero diversa. Questa persona, che chiamerò Gino per rispetto della privacy, fu molto comprensiva e accettante. Troppo. Sono abbastanza intelligente per capire che quando è così l’accettazione non è reale. Della serie basta che respiri. E io non voglio questo.
Inoltre Gino cominciò a raccontarmi tutte le sue disgrazie. Ma tutte! Tant’è che pensai: “E poi dicono che sono io la sfortunata…”.
Ho conosciuto molte persone in quel periodo e devo ammettere che non ho mai avuto particolari difficoltà di approccio rispetto alla mia fisicità. Certo “gli imbecilli sono dappertutto” (cit.).
Mi ricordo una volta un tizio mi chiese: “Ma davvero sei alta 1.41?“. La mia risposta fu: “No, ero alta 1.80, bionda, occhi verdi… poi sono caduta e… eccomi qui”. Mentre pronunciavo queste parole ho sentito distintamente un rumore di braccia cadute, le mie.
Un’altra volta sono uscita con uno che, mentre mettevo la macchina in moto, disse osservando il mio sedile molto vicino al volante: “Certo sei proprio piccola eh?“. Sgranai gli occhi. La mia prima risposta fu: “Wow che spirito di osservazione, non ti si può nascondere niente eh?”. Ma la tenni per me. Risposi solo con un sorriso dando una chance alla sua cafonaggine.
All’ignoranza si può rispondere solo con l’ironia. Così le persone si avvicinano e a quel punto puoi raccontare loro chi sei e da dove vieni. E spesso scopri che hanno le tue stesse difficoltà.
Poi ci sono gli idioti, quelli trasversali, disabili e non. Ma questa è un’altra storia.
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“Quello che le donne (con o senza disabilità) vogliono” è la rubrica di Armanda Salvucci per Ability Channel nella quale vengono affrontati diversi argomenti, come la sensualità, l’amore e la sessualità, dal punto di vista di una donna con disabilità