Vediamo cos'è l'eutanasia, come quest'argomento viene affrontato nel mondo, pro e contro di questa pratica ed il protocollo di attuazione.
Cosa significa e qual è la definizione corretta di eutanasia? Dal greco ” bene” e “morte”, il significato di eutanasia indica il voler causare in modo intenzionale la morte in un soggetto la cui condizione è ormai fortemente proibitiva o compromettente: una persona la cui qualità della vita è intaccata da una malattia in maniera permanente e debilitante oppure che abbia subito una forte menomazione o una particolare condizione fisica e psichica.
La prima volta che si parla effettivamente di “eutanasia” è il 1605. Con il testo “Of The Proficience and Advancement of Learning”, il filosofo inglese Francis Bacon introdusse questo termine con il quale invitava in medici a non abbandonare i malati inguaribili. Solo nel XIX secolo la parola comincia ad essere associata all’intervento di porre fine alle sofferenza di una persona malata con la morte.
A oggi vengono riconosciute diverse tipologie di eutanasia:
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In Italia non esiste una regolamentazione unica riguardante l’eutanasia legale, indi per cui non è legale nella sua definizione tout court, cioè come somministrazione di una sostanza letale da parte del medico verso il paziente richiedente. Invece per alcune delle forme presentate finora il codice penale prevede delle conseguenze. Vediamo quali.
L’eutanasia attiva in Italia è assimilabile all’omicidio volontario, ai sensi dell‘art. 575 c.p. (“Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”). Ma se si dimostra il consenso del malato (eutanasia attiva volontaria), allora interviene l’art. 579 c.p., cioè l’omicidio del consenziente (“Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione dai 6 ai 15 anni”).
Più difficile, invece, la questione dell’eutanasia passiva. Se è vero che può essere configurato il reato di omicidio volontario secondo l’art. 40 c.p., è altrettanto corretto affermare la difficoltà nel dimostrarne la colpevolezza. Come mai? La sospensione delle cure da parte del malato è un diritto inviolabile della Costituzione Italiana. L’art. 32, comma 2, in particolare, recita che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Il suicidio assistito è equiparato all’istigazione o all’aiuto al suicidio, come disciplina l’art. 580 c.p. (“Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da 5 a 12 anni”).
Tuttavia, nel settembre 2019, la Corte Costituzionale ha emanato una sentenza storica, sottolineando che non è sempre punibile chi aiuta al suicidio. Tale pronuncia fu emanata in merito al caso di Dj Fabo e al processo che vede protagonista Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni, che rischiava appunto fino a 12 anni dopo aver accompagnato Fabiano Antoniani, 40enne tetraplegico, in Svizzera a morire.
Tale pronuncia, inoltre, conferma che non può essere condannato per istigazione al suicidio chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli” (La Stampa).
Tuttavia, la stessa Consulta ha sottolineato che serve un “indispensabile intervento” del legislatore e che il fine vita avviene solo in “una struttura pubblica del Sistema sanitario nazionale sentito il parere del comitato etico territorialmente competente” (La Stampa).
Come abbiamo visto, dunque, muoversi in questo tema è abbastanza spinoso. In che modo è possibile applicare una forma di eutanasia senza trasgredire le attuali regole? Cerchiamo di capirlo.
La terapia del dolore è la somministrazione di farmaci analgesici, che se da un lato possono condurre il malato ad una morte prematura, dall’altro assolvono il medico in quanto lo scopo è alleviare le sofferenze del paziente e non procurarne la morte.
La libertà di cura e terapia è garantita attraverso gli articoli 13 e 32 della Costituzione Italiana. In particolare l’art. 32, secondo comma, recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. In base a tale principio nessuna persona capace di intendere e di volere può essere costretta ad un trattamento sanitario anche se indispensabile alla sopravvivenza.
Tale concetto è stato normato anche dalla legge 219/2017, che disciplina la possibilità per il malato di rifiutare o sospendere qualsiasi terapia, anche quella salvavita, mentre il medico può aiutare il paziente attraverso una sedazione palliativa profonda.
È accettato il rifiuto dell’accanimento terapeutico. Il medico, se la morte è imminente e inevitabile, è legittimato a interrompere o rifiutare trattamenti gravosi per il malato e sproporzionati rispetto ai risultati che è lecito attendersi.
La Dichiarazione Anticipata di Trattamento è un testamento biologico (entrato in vigore il 31 gennaio 2018), firmato anticipatamente, che dà la possibilità a un paziente di accettare o rifiutare trattamenti sanitari nell’eventualità in cui dovesse trovarsi ad affrontare una malattia terminale, irreversibile o invalidante e, soprattutto, nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte.
Se tale documento viene a mancare, l’amministratore di sostegno della persona in una condizione di malattia giudicata irreversibile, con grave disturbo cognitivo che ne compromette giudizio, coscienza ed espressione, può richiedere l’interruzione delle terapie.
La Legge 38 del 2010 fornisce le linee guida per la sedazione palliativa profonda e continua per i pazienti terminali che vengono addormentati per non costringerli a soffrire, non per provocare la morte.
La cessazione delle cure dopo la diagnosi di morte, in particolare dopo la diagnosi di morte cerebrale (legge n. 578/1993), ha riguardato il caso di Eluana Englaro, rimasta per 17 anni in stato vegetativo. I criteri legali variano di paese in paese. Per quanto riguarda l’Italia, servono tre medici (legale, neurologo e specialista in anestesia e rianimazione) e bisogna ripetere due volte alcune prove (elettroencefalogramma, prova di riflessi del tronco dell’encefalo, test di apnea).
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Durante l’estate del 2021 sono state raccolte oltre un milione e 230mila per il Referendum sull’Eutanasia Legale, promosso dall’Associazione Luca Coscioni, che vuole parzialmente abrogare l’art. 579 del codice penale, introducendo l’eutanasia attiva. Secondo le prime stime, i cittadini saranno chiamati al voto entro la primavera del 2022.
Nel caso in cui il parere sarà favorevole, la norma cambierebbe così: “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61. Si applicano le disposizioni relative all’omicidio [575-577] se il fatto è commesso:
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Il tema dell’eutanasia in Italia è spesso associato a diversi fatti di cronaca che hanno portato l’opinione pubblica a dividersi sulla questione.
Uno dei casi più eclatanti riguarda Elena Moroni, in coma irreversibile a seguito di un edema cerebrale. Il 21 giugno 1998 il marito Ezio Forzatti staccò il respiratore che la teneva in vita, tenendo lontano il personale medico con una pistola carica. Dopo un intenso processo, Forzatti fu assolto perché il fatto non sussisteva.
Un’altra vicenda abbastanza nota è quella di Eluana Englaro, giovane donna di Lecco che, a causa di un’incidente stradale, nel 1992 entrò in stato vegetativo, fino alla sua morte nel 2009, avvenuta su richiesta del padre di sospendere ogni terapia – decisione presa insieme a un decreto della Corte di Appello di Milano, confermato poi in Cassazione.
Giovanni Nuvoli, invece, era una persona paralizzata con sclerosi laterale amiotrofica che chiese di esser staccato dal proprio respiratore artificiale che lo manteneva in vita. L’anestesista Tommaso Ciacca provò a esaudire le sue volontà, ma fu bloccato dalle Forze dell’Ordine. Così il 16 luglio 2007 Nuvoli iniziò uno sciopero della fame e della sete, che lo portò alla morte il 23 luglio 2007.
Nel 2006 anche Piergiogo Welby chiese di essere staccato dal respiratore, fatto avvenuto il 20 dicembre 2006 a opera del medico anestesista Mario Riccio, poi prosciolto nel luglio 2007 in quanto il fatto non costituiva reato.
Infine abbiamo il caso di Dj Fabo, all’anagrafe Fabiano Antoniani, che ha deciso di morire in una clinica svizzera il 27 febbraio 2017, accompagnato dal radicale Marco Cappato.
In Italia il tema è molto dibattuto e principalmente vede due fazioni contrapporsi: chi è a favore e chi è contrario all’eutanasia. Ma quali sono le argomentazioni?
Chi è a favore a una legge in favore dell’eutanasia basa i propri principi su tre criteri: la libertà di scelta come fondamento democratico; la qualità della vita come diritto assoluto; l’inaccettabilità di soffrire a causa di una malattia.
Le argomentazioni contro l’eutanasia, invece, si fondano su altri pareri: il giuramento di Ippocrate, che ogni medico deve prestare prima di iniziare la professione, nella sua versione originale esclude esplicitamente l’eutanasia; la Chiesa cattolica considera l’eutanasia come il suicidio; domandarsi se il paziente è in grado di prendere la decisione; il desiderio della famiglia di vivere il più a lungo possibile accanto al proprio caro.
Oltre all’Italia, cosa possiamo dire degli altri paesi europei?
La legge svizzera prevede un preciso protocollo per quella che viene chiamata la “morte volontaria assistita“. Ecco come avviene l’eutanasia in Svizzera:
Dj Fabo, non potendo usare le mani, ha morso un pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale. In pochi minuti è entrato in coma profondo e gli si è bloccata la respirazione. Il costo del “trattamento è di circa 13 mila euro.
Sul web si trovano i siti di associazioni come Exit-svizzera italiana che si occupano dell’assistenza e dell’accompagnamento dei pazienti con gravi patologie irreversibili e clinicamente accertate e senza possibilità di guarigione verso la Morte Volontaria Assistita.
Ultima modifica: 01/01/2022