Dj Fabo (Fabiano Antoniani) era un italiano che scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera il 27 febbraio 2017. Una storia che sollevò un polverone mediatico di dimensioni colossali e che mise al centro la figura di Marco Cappato, esponente dei Radicali Italiani e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che era con lui nel momento in cui scelse di togliersi la vita.
Chi era Dj Fabo
Rimasto tetraplegico in seguito a un incidente stradale, Fabiano Antoniani, noto a tutti come dj Fabo, scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera il 27 febbraio del 2017. Con lui c’era Marco Cappato, esponente dell’associazione Luca Coscioni, che il giorno successivo si autodenunciò.
La procura di Milano denunciò Cappato con l’accusa di aiuto al suicidio e per lui iniziò il processo, arrivato fino alla Consulta e conclusosi il 23 dicembre 2019 con l’assoluzione totale. La Corte costituzionale, chiedendo un intervento del Parlamento per colmare un vuoto legislativo, aveva inizialmente rinviato a settembre 2019 il verdetto sull’aiuto al suicidio. In seguito fu costretta ad assolverlo perché non esistevano elementi per incriminarlo.
Dj Fabo era una persona appassionata di musica. Fin dall’età di 7 anni, Fabiano aveva iniziato a suonare la chitarra. La musica per Dj Fabo era una vera passione che lo portò fino all’Isla Blanca, Ibiza. Lì diventò deejay e decise di abbandonare definitivamente Milano. Si era diplomato come geometra e aveva anche lavorato in un team di moto, ma il suo amore per la musica e per i viaggi lo portavano costantemente lontano da una vita fatta di sedentarietà. Tra i suoi itinerari spicca quello in India: assieme alla fidanzata Valeria, aveva deciso di trascorrere lì almeno 8 mesi su 12.
Il grave incidente e la paralisi
La vita può dare tanto, ma allo stesso tempo può essere davvero ingiusta. Durante uno dei rientri in Italia, al termine di una serata in un locale, Dj Fabo ebbe un incidente in auto: era il 13 giugno 2014. Per chinarsi a raccogliere il cellulare che gli era sfuggito di mano, sbandò in maniera vigorosa e la sua vettura si scontrò contro un’altra che procedeva sulla corsia d’emergenza. Fu sbalzato fuori dall’abitacolo e iniziò il suo calvario: rimase cieco e tetraplegico.
Dopo anni di terapie senza esito matura la precisa consapevolezza di voler porre fine alla sua vita: “Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione, non trovando più il senso della mia vita. Fermamente deciso, trovo più dignitoso e coerente, per la persona che sono, terminare questa mia agonia”.
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Gli appelli a Mattarella e la morte in Svizzera
Dopo l’incidente lanciò diversi appelli al presidente Mattarella e diventò il simbolo di un tema etico di primaria importanza come il suicidio assistito. Non trovando risposte in Italia e dopo l’ennesimo rinvio in Parlamento della legge sul testamento biologico, decise di recarsi in Svizzera dove muore in una clinica il 27 febbraio 2017. La legge entrerà in vigore il 19 dicembre.
Il suo addio su Twitter, a distanza di anni, mantiene ancora una forte carica emotiva: “Sono finalmente arrivato in Svizzera, e ci sono arrivato purtroppo con le mie forze e non con l’aiuto dello Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e la ringrazierò fino alla morte”.
Le accuse a Marco Cappato e il processo sul suicidio assistito di Dj Fabo
L’11 marzo 2017, Marco Cappato viene indagato dopo essersi autodenunciato ai carabinieri mantenendo la promessa fatta in Svizzera: “Ha morso un pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale: era molto in ansia perché temeva, non vedendo il pulsante essendo cieco, di non riuscirci. Al mio rientro in Italia, andrò ad autodenunciarmi, dando conto dei miei atti e assumendomene tutte le responsabilità”.
I pm di Milano Tiziana Siciliano e Sara Arduini chiedono l’archiviazione perché il fatto non sussiste: secondo loro infatti, le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita se sono connesse a situazioni di malattia terminale ritenuta intollerabile o indegna dal malato stesso. Il gi respinge l’archiviazione e dispone l’imputazione coatta per Marco Cappato. Anche Marco Cappato è in sintonia con la richiesta del giudice e chiede di andare immediatamente a processo senza ulteriori udienze o fasi preliminari: “Ho chiesto il giudizio immediato perché voglio che in Italia finalmente si possa discutere di come aiutare i malati a essere liberi di decidere fino alla fine”.
L’assoluzione di Cappato
Nell’udienza del 17 gennaio 2018, la Procura di Milano chiede l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste: “Marco Cappato non ha avuto alcun ruolo nella fase esecutiva del suicidio assistito di Fabiano Antoniani e non ha nemmeno rafforzato la sua volontà di morire”.
A questo punto inizia un tira e molla tra Consulta, Corte Costituzionale, Governo e Avvocatura di Stato. C’è un evidente vuoto legislativo e la Corte Costituzionale chiede al governo di legiferare in merito: in caso contrario, secondo la Corte, non si sarebbero i requisiti legislativi per condannare Cappato con l’accusa di aiuto al suicidio. Il 23 dicembre 2019 la corte d’Assise di Milano assolve definitivamente Marco Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio perché il fatto non sussiste.
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