Daniele Cassioli si racconta ad Ability Channel: "Negli sport paralimpici è complicato gestire la distanza di sicurezza"
Daniele Cassioli è un nome noto nel panorama paralimpico. Il suo palmarès parla da solo: 25 volte campione del mondo, 25 volte campione d’Europa e 39 volte campione d’Italia come sciatore nautico. Numeri pazzeschi, ai quali vanno aggiunti i 3 record del mondo ottenuti nella sua carriera (finora).
Classe 1986, con disabilità visiva, anche Daniele Cassioli è dovuto scendere a patti con il Coronavirus, ma la Fase 2 potrebbe aprirgli nuovi spiragli d’allenamento.
Ma, oltre allo sport, Daniele Cassioli avrebbe presto intrapreso la strada del comico televisivo a Colorado. Esperienza che, a causa del Coronavirus, si è purtroppo arenata. “È una rosicata”, ci dice al telefono, ridendo, mentre gli chiediamo qualcosa sul recente passato e sull’immediato futuro.
“La Fase 1 è stata chiaramente complicata. Poi, parlo per me, ma l’ho riscontrata in altri colleghi sportivi: l’abitudine al sacrificio non ci ha tradito neanche questa volta”.
“Non uscire e non poter particare attività agonistica richiede grande sforzo, ma allo stesso tempo lo sport mi ha insegnato cosa significa fare il sacrificio. In questa ottica, mi sono spinto a cercare di fare tante cose in casa. Io poi sono laureato in fisioterapia, ho lavorato come fisioterapista, quindi ho anche questo piccolo vantaggio di potermi creare esercizi da solo”.
“Per ora (lunedì 4 maggio 2020, ndr) la situazione non è cambiata, è ferma. Adesso il Comitato Paralimpico e tutte le federazioni di riferimento potranno elaborare delle linee guida utili. Nella disabilità, ci sono delle criticità importanti. Ad esempio, anche se richiesta, spesso la distanza di sicurezza non è semplice da gestire. Qualcosa si sta muovendo, confido nella mia federazione”.
“Non ho nessuna informazione, in questo momento è tutto fermo. Non ho idea che intenzione abbia la Colorado Film. Era veramente una grande opportunità di crescita personale e, allo stesso tempo, un ottimo palcoscenico per portare alla luce le tematiche della disabilità sotto la prospettiva comica”.
“Lo sport ha dato tanto alla disabilità, credo che manchi però nel grande pubblico l’approccio autoironico. Raramente lo trovo, e quando lo trovo è poco conosciuto. Quindi la mia idea è di ridere attraverso ciò che mi accaduto, anche perché la cecità può aggiungere delle cose divertenti a quello che mi è capitato nella vita. E, attraverso questo, lanciare messaggi di conoscenza: per molti, la disabilità è ancora un tabù”.
“Credo che siano valide entrambe le cose, purché lo scherzo sia genuino e abbia questa vena di valorizzarla. Prendere in giro una persona perché disabile, ovviamente, diventa un altro tipo di approccio, che anche io ho subito e con cui non sono d’accordo”.
“Comunque, anche questa situazione di pandemia ce lo sta dimostrando: prendere con leggerezza le cose anche toste è sintomo di intelligenza e non superficialità. Se ci serviamo della nostra intelligenza per scherzare con e sulla disabilità, a quel punto abbiamo fatto bingo. Riderci su è anche un modo per coinvolgere il pubblico su questi temi”.
Ultima modifica: 13/05/2020