Il concetto della cultura sulla disabilità è recentemente emerso all’interno del nostro blog. Precisamente, lo abbiamo affrontato in una chiacchierata con Simoncino, secondo cui “bisogna far conoscere la disabilità alle persone”. In effetti, il rapper non ha tutti i torti. Siamo di fronte a una frase che apre la strada a numerose riflessioni. Soprattutto in un momento storico nel quale la cultura deve sapersi reinventare. Tale percorso lo abbiamo provato ad affrontare anche su Heyoka, con diversi risultati.
La cultura sulla disabilità oltre gli stereotipi
Un primo approccio che dovrebbe concretizzarsi verso la cultura alla disabilità è la lotta agli stereotipi. Per esempio, andrebbe riscritta l’idea che la disabilità sia composta esclusivamente da individui eroici, poiché il disabile è uno sfortunato angelo sceso in terra. Una persona che non riuscirà mai a vivere la propria esistenza pienamente e con orgoglio. In verità, questa è una speculazione a tutti gli effetti, basata sullo stereotipo comune dell’invalido come ‘poveretto’.
Studiamo il caso di Angelica Malinverni e Caterina Novella, madre e figlia, la seconda con disabilità, che hanno percorso assieme il cammino di Santiago di Compostela. A fronte di questo viaggio, le due sono state dipinte da molti con toni eroici. “Noi non siamo delle eroine – ci disse la donna in una nostra intervista -. Sono una mamma che ha realizzato un sogno per sua figlia. Abbiamo compiuto un meraviglioso viaggio della maturità”. In sostanza, questa storia porta in auge un tema (l’accessibilità) per bilanciarlo nell’insieme sociale. Cioè, non si sofferma troppo sulla disabilità in essere, con il rischio di emarginarla, ma indaga il rapporto familiare alla base della realizzazione di un progetto di vita, richiamando a sua volta l’idea di un mondo che rispetti l’integrazione.
Il ruolo dei genitori è prezioso
Tra l’altro, Angelica non è l’unica storia sull’importanza del lavoro di una famiglia nel veicolare cultura sulla disabilità. Non solo all’interno, ma anche verso l’esterno, insegnando quanto la diversità debba rientrare nel concetto di inclusione di una società contemporanea. Basti pensare a quando Ilary, una bimba disabile, sfilò su un campo di Serie A insieme al giallorosso Dzeko prima del match tra Roma e Udinese. “Ha fatto comunque una cosa che hanno fatto tutti i bambini – ci ha precisato Federica D’Orta, la mamma di Ilary -. Hanno fatto vedere che è una cosa normalissima e lei si è divertita con tutti gli altri bimbi”.
Un’esposizione mediatica che porta con sé, inoltre, un significato potente per la cultura sulla disabilità: bisogna creare consapevolezza su di essa. Questo stesso messaggio è affiorato durante la recente edizione estiva del Resurrection Fest, dove Álex Domínguez, un 19enne con disabilità, è stato alzato al cielo dalla folla, la cui immagine immortala dal fotografo Daniel Cruz è diventata virale in tutto il mondo.
E quindi?
Per fare cultura alla disabilità, bisogna lottare per la propria emancipazione, per informare, per i propri diritti. Concetti insegnati e professati da Stefano Pietta, Antonio Tessitore e la coppia di Asperger Way. Tutte personalità che, nel loro piccolo, stanno contribuendo a un concetto ancora più grande: riconoscere l’esistenza della disabilità. Dobbiamo parlarne, ogni giorno. Perché si tratta di essere umani. E l’umanità non deve essere abbandonata in un angolo.