Uno studio cinese avrebbe sperimentato una variante killer del Covid che causa mortalità del 100% nei topi transgenici umani. Questo coronavirus, denominato GX_P2V, indicherebbe una forma mutata del noto Sars-CoV-2, la cui esistenza però è già nota da anni. Al momento dunque cosa sappiamo? Proviamo a fare chiarezza.
Cosa sappiamo sulla variante killer del Covid
La notizia della variante killer del Covid è arrivata alla ribalta per uno studio di un gruppo di ricercatori del Centro di innovazione avanzata di Pechino per la scienza e l’ingegneria della materia soffice, pubblicato su biorxiv il 3 gennaio 2024.
Al suo interno si parla di un Coronavirus pangolino correlato alla Sars-Cov-2, noto come GX_PV2 (short_3UTR), che ha causato una mortalità del 100% nei topi transgenici umani ACE2 (cioè modificati per scoprire se il virus può causare malattia negli umani).
Sostanzialmente quindi l’apprensione principale risiede nella preoccupante mortalità registrata nei roditori: “Ciò sottolinea – si legge – il rischio di propagazione di GX_P2V negli esseri umani e fornisce un modello unico per comprendere i meccanismi patogeni devi virus correlati alla Sars-CoV-2″.
Lo studio comunque precisa alcune informazioni: ad esempio, che GX_PV2 è stato scoperto nel 2017 e che può infettare sia criceti dorati che topi hACE2 senza causare malattie evidenti. Tuttavia al centro dello studio c’è il GX_PV2 (short_3UTR), “un mutante adattato alla coltura cellulare che possiede una delezione di 104 nucleoditi al 3′-UTR”, capace appunto di causare una mortalità del 100% nei topo hACE2, probabilmente a causa di un’infezione cerebrale tardiva“.
“Sorprendentemente – continuano i ricercatori -, tutti i topi infettati dal virus vivo sono morti a causa dell’infezione entro 7-8 giorni dopo l’inoculazione, con un tasso di mortalità del 100%. I topi hanno iniziato a mostrare una diminuzione del peso corporeo a partire dal giorno 5 dopo l’infezione, raggiungendo una diminuzione del 10% rispetto al peso iniziale entro il giorno 6. Entro il settimo giorno dopo l’infezione, i topi mostravano sintomi come piloerezione, postura curva e movimenti lenti, e i loro occhi diventavano bianchi”.
Gli esperti scrivono inoltre che, “per quanto ne sappiamo”, si tratta del primo rapporto che mostra come un coronavirus pangolino correlato a Sars-CoV-2 possa causare questo alto tasso di mortalità nei topi, suggerendo quindi che possa esistere un rischio anche per gli esseri umani.
“In sintesi – conclude lo studio -, il nostro studio fornisce una prospettiva unica sulla patogenicità di GX_P2V e offre un modello alternativo distinto per comprendere i meccanismi patogeni dei coronavirus correlati alla SARS-CoV-2”.
La reazione degli esperti sullo studio della variante killer del Covid
Attraverso i social media alcuni esperti hanno voluto sottolineare come tale studio sia considerato inutile e altrettanto pericoloso a livello scientifico. Uno dei commenti più diretti sembra essere quello professor Francois Balloux, esperto di malattie infettive dell’University College di Londra: “Ho dato un’occhiata al preprint – scrive su X -. È uno studio terribile, scientificamente totalmente inutile. Non vedo nulla di vago interesse che si possa apprendere infettando forzatamente una strana razza di topi umanizzati con un virus casuale. Al contrario, ho potuto vedere come cose del genere potrebbero andare storte…”.
I had a look at the preprint. It's a terrible study, scientifically totally pointless. I can see nothing of vague interest that could be learned from force-infecting a weird breed of humanised mice with a random virus. Conversely, I could see how such stuff might go wrong …
— Prof Francois Balloux (@BallouxFrancois) January 10, 2024
Inoltre il New York Post attribuisce al professore anche le seguenti dichiarazioni: “Il preprint non specifica il livello di biosicurezza e le precauzioni di biosicurezza utilizzate per la ricerca. L’assenza di queste informazioni solleva la preoccupante possibilità che parte o tutta questa ricerca, come la ricerca a Wuhan nel 2016-2019 che probabilmente ha causato la pandemia di Covid-19, sia stata condotta in modo sconsiderato senza il contenimento minimo di biosicurezza e le pratiche essenziali per la ricerca con potenziali agenti patogeni pandemici”.
Questo studio si inserisce in un discorso ancora più fitto riguardante l’origine del Covid 19, su cui ancora sono in corso le indagini per chiarire e definire come sia nato o se sia stato diffuso da un laboratorio: al momento però non esistono prove che confermino la seconda ipotesi.
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