Il diritto alla salute è un concetto quanto mai attuale nella nostra società. È un argomento che si muove su diversi livelli, tra cui politico e informativo. Negli ultimi tempi, il tema è tornato in auge per via di Paolo Palumbo, il più giovane europeo con la SLA, inizialmente accolto in una terapia sperimentale estera, salvo poi scoprire di esser stato raggirato. Prima di questo aggiornamento, avevamo contattato Maria Antonietta Farina Coscioni, fondatrice e presidente dell’Istituto Coscioni, che stava seguendo la vicenda in prima persona. Insieme a lei, abbiamo incentrato una chiacchierata proprio sul diritto alla salute.
“La ricerca scientifica è l’unica strada percorribile”
Quello di Palumbo non è il primo caso di una persona con disabilità grave che tenta di andare all’estero alla ricerca di una cura. Tutto ciò, probabilmente, accade perché “di fronte alla scarsità di offerte terapeutiche, la ricerca scientifica è l’unica strada percorribile”, afferma Coscioni. Nondimeno, “fare trial terapeutici è complicato e costoso. In gran parte dei casi, sono le cause farmaceutiche che si assumono tutto l’onere”. Purtroppo, però, avviene “nelle malattie rare con un’intensità minore rispetto ad altre patologie ‘più diffuse’. Perciò occorre un investimento molto elevato in ricerca”. Non mancano gli ostacoli, anzitutto “quando si parla di cellule staminali embrionali, nel caso di Paolo, quelle mesenchimali“. Un argomento che, al momento, vive fortemente di larghi pregiudizi, che minano “un percorso di ricerca in Italia”.
“Assicurare la libera scelta”
Il diritto alla salute è un argomento che l’Italia porta avanti da svariati anni. Basti pensare a Luca Coscioni, marito defunto di Maria Antonietta Farina. “Il primo studio in Italia autorizzato e legale sulle cellule staminali mesenchimali è del 2002, quando Luca, estremo difensore della libertà scientifica, si sottopose alla sperimentazione”. Nel dettaglio, fu “uno studio pilota finalizzato all’impianto delle cellule staminali mesenchimali di midollo osseo ad uso terapeutico in pazienti sia pediatrici con tetraplegia congenita e anche in pazienti adulti con SLA”. All’epoca, il test “rispondeva a requisiti scientifici, era regolare ed ufficiale. Tuttavia era la prima sperimentazione, quindi i malati facevano letteralmente da cavia”. Il nodo cruciale della questione è nella “libera scelta di sottoporsi al protocollo sperimentale”, nella quale “c’è un confronto continuo tra i benefici attesi e i rischi potenziali. A Luca, non portò nulla di buono”, però in lui “non ci fu delusione, perché fa parte delle regole di chi accetta questo trattamento”. Cosa vogliamo asserire con questo discorso? “La speranza nella ricerca e nella possibilità di accedere a un trial terapeutico non deve essere negato a nessuno”, garantendo sempre “il fondamento del metodo scientifico“.
“Verso un diritto alla salute universale”
Diritto alla salute e ricerca scientifica sono strettamente legati. Nel nostro paese, c’è anche il problema dei bassi investimenti nella ricerca. Quali dovrebbero essere i futuri obiettivi per un suo rilancio? “La priorità è la tutela della dignità e della vita del paziente”, sottolinea Coscioni. Anche perché, nei casi più gravi, “non c’è tempo nell’aspettare un domani o una prova definitiva” della sperimentazione. In questo caso, le istituzioni dovrebbero “farsi carico dei pazienti e delle loro sofferenze”. In che modo? “Il paziente deve essere messo nelle condizioni di conoscere in maniera appropriata e non affidarsi nella solitudine delle mura domestiche”. L’informazione, come sempre, gioca un ruolo nevralgico, in quanto il malato si documenta “sia a livello pubblico” sia “attraverso i mezzi di comunicazione, in grado di creare, modificare e orientare diversi atteggiamenti sociali”. In pratica, “l’informazione dei trial esistenti in Europa e nel mondo devono essere accessibili a livello di conoscibilità, e deve essere fatta dalle istituzioni, senza lasciare l’onere alla cause farmaceutiche di informare. Oppure di non informare a sperimentazione conclusa”. Tutto ciò con lo scopo ultimo di conseguire il “diritto alla salute universale”.
“Migliorare la diffusione della cultura scientifica”
Oltre a un’attuale fragilità informativa, a preoccupare è anche la politica. Secondo il presidente dell’Istituto Coscioni, tale sentimento nasce dalla debolezza con cui la stessa si impegna in certe tematiche. “Occupandosi di certi argomenti senza competenze, si rischia di far peggio”. La conseguenza grave, poi, è che “il concetto di salute” diventi “un bene autonomamente tutelato. Ma è una situazione giuridica che non può essere scissa dal valore della persona umana, nella sua integrità. La salute non si esplicita solo nell’integrità fisica o nell’assenza di malattia, invece coinvolge una dimensione complessiva di benessere psicofisico. Di fronte alla non adeguatezza della politica, il malato pensa di essere quotato in partenza alla sconfitta. Perché quando un’informazione è inadeguata, sono i destinatari a soffrirne di più”. Servirebbe, perciò, “garantire una corretta diffusione della cultura scientifica. Mi rendo conto che è necessario integrare la scienza nella cultura generale di questo paese”.