Secondo i dati dello studio MuSC 19, i pazienti con SM hanno avuto rischi minori di contrarre il COVID-19
Per i malati di sclerosi multipla il rischio di contrarre il nuovo Coronavirus è minore rispetto alla popolazione generale. A dirlo sono i risultati dello studio MuSC 19, promosso dalla Società Italiana di Neurologia (Sin) e dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (Aism), insieme alla Fondazione Fism.
Lo studio, pubblicato su The Lancet Neurology, indaga da diverso tempo sulla relazione tra COVID-19 e sclerosi multipla.
Le stime della ricerca sono stati diffuse lo scorso 30 maggio, in occasione della Giornata Mondiale sulla Sclerosi Multipla. Come spiega l’Ansa, dalle statistiche è emerso che il oltre 10% dei pazienti con SM ha dovuto fare ricorso a cure ospedaliere, mentre il 4% è stato portato in reparti ad alta intensità di cura.
Per quanto riguarda i decessi, ne sono stati registrati in meno del 2% dei casi, principalmente in persone tra i 52 e i 76 anni: di questi, più della metà non assumevano farmaci contro la sclerosi multipla, nella maggior parte erano affetti da forme progressive di SM e tutti, tranne 1, avevano sensibile disabilità con Edss (Scala di Invalidità Espansa) superiore a 5.5.
Inoltre, la gran parte delle persone decedute aveva altre comorbidità, come ipertensione, diabete, coronaropatie, malattie cerebrovascolari, dislipidemia e altre patologie.
Grazie a questo studio, gli esperti hanno potuto confermare che i pazienti con SM, anche in corso di terapia immunoattiva, non hanno avuto maggior rischio di infezione da nuovo Coronavirus.
Secondo Francesco Patti, Responsabile del Gruppo di Studio Sclerosi Multipla al Sin, “è verosimile ritenere che l’azione di supporto rivolta ai pazienti per far rispettare loro le misure generali di protezione dall’infezione, quali il distanziamento sociale, l’attenzione verso l’igiene, la ridotta esposizione al rischio di essere contagiati (uso mascherine in ospedale, o in ambienti con altre persone, telemedicina, invio a domicilio dei piani terapeutici e persino di certe categorie di farmaci, esenzione dal lavoro) unitamente all’azione immunoregolatoria ed antiinfiammatoria dei farmaci immunoattivi, abbia potuto contenere il possibile maggior rischio d’infezione in persone fragili come quelle con sclerosi multipla”.
L’opera dello studio MuSC 19 sta dando i suoi frutti, anche grazie al fatto che, come sottolineato dal presidente Sin Gioacchino Tedeschi, “l’Italia è stato il primo Paese a segnalare i casi di infezione da SARS-CoV-2 in persone con sclerosi multipla, pubblicando, qualche settimana fa su Lancet Neurology, la prima analisi descrittiva MuSC 19 relativa a 232 pazienti. In queste settimane lo studio non è mai stato interrotto. L’analisi in fase di elaborazione fornirà indicazioni più accurate sull’effetto e gestione delle terapie”.
Ultima modifica: 05/06/2020