Chiedere e chiedersi “Come comportarsi con una persona disabile” può essere ritenuta una forma di abilismo? La domanda è lecita, visto che da qualche tempo la cultura italiana sta affrontando la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità (si veda il caso del ddl Zan), ed è dunque necessario distinguere le zone d’ombra che possono creare confusione. Quest’oggi abbiamo chiesto un aiuto a Iacopo Melio, consigliere della Regione Toscana e giornalista.
“Come comportarsi con una persona disabile” è una forma di abilismo?
Contattato dalla nostra redazione, Melio ha spiegato il suo punto di vista: questa domanda non ha nulla a che vedere con l’abilismo, semmai “è un modo per accendere un’utile riflessione, per arrivare a rendersi conto che, alla fine, la lotta all’abilismo sta proprio nel comportarsi in maniera più naturale possibile. È quando questo non ci si chiede, e si lascia spazio a pietismo o compassione, a stereotipi e luoghi comuni, che nasce la discriminazione delle persone con disabilità”.
Anche perché ogni domanda nasce da un’esigenza: “Tutto ciò che è diverso da noi in qualche modo ci spaventa e tendiamo ad allontanarlo. Credo quindi che sia abbastanza normale chiedersi come dovremmo rapportarci a qualcosa che appare distante da ciò che si è, per non commettere errori che possano ferire la sensibilità dell’altro o magari perché ci si sente a disagio davanti al ‘diverso'”.
A tutto ciò si lega anche il timore di chiedere informazioni sulla disabilità alla persona stessa: “Questa devo ammettere che è una questione delicata – ci sottolinea il consigliere -, che varia molto in base alla sensibilità della persona disabile. A me, ad esempio, non dà troppo fastidio: certo è che chiederlo dopo nemmeno cinque minuti che si conosce qualcuno, non va affatto bene. Siamo persone, non pazienti; siamo un insieme di valori, idee, sentimenti, e non una cartella clinica con dei numeri. Ho amici storici che, dopo vent’anni, non hanno mai fatto una sola domanda sulla mia disabilità: alla fine ciò che conta davvero è altro”.
Leggi anche: Lorenzo Baglioni e Iacopo Melio: ecco le loro canzoni
Iacopo Melio e l’abilismo: “I giornali rimarcano la mia disabilità”
Iacopo Melio vive l’abilismo sulla propria pelle, soprattutto quando viene esaltata unicamente la sua disabilità: “Molto spesso – ci confessa – i giornali, quando parlano di me, sentono il bisogno di rimarcare il fatto che io sia disabile: ‘Iacopo Melio, consigliere disabile del PD’, ad esempio. Ma questo accade anche in altre situazioni. A cosa serve ribadire che io sono disabile? Cosa aggiunge alla narrazione? Assolutamente niente: non lavoro perché sono in carrozzina ma perché, evidentemente, un po’ bravo lo sono. Ecco, questo è abilismo vero e proprio, sottolineare le disabilità anziché le abilità“.
Ma non è tutto qui. Ancora oggi esiste un retaggio culturale secondo cui una persona disabile che esce a mangiare una pizza non può essere accompagnato da amici o partner. O, altresì, che l’ordinazione non venga chiesta al diretto interessato: “Una volta, al ristorante, è capitato che anziché chiedere l’ordinazione a me, la chiedessero a chi era con me, come se fossi automaticamente non in grado di intendere e di volere, o di comunicare. Oppure, quando giravo con le mie ex ragazze, capitava che le scambiassero per amiche, sorelle, assistenti… Come se per una persona con disabilità non fosse contemplata l’idea di piacere e avere una relazione normalissima con una persona normodotata. Anche questi sono pregiudizi abilisti”.
Da qui insomma capiamo che le persone disabili sono guardate dall’alto in basso, “soprattutto quelle in carrozzina. Apprezzo molto chi si inginocchia per parlarmi: non lo trovo necessario, in realtà, questo, ma lo apprezzo”.
Quali sono le parole da utilizzare?
Infine, la domanda “Come comportarsi con una persona disabile” apre uno scenario significato su come si deve parlare di disabilità. Dunque quali sono le parole da non utilizzare?
“Tutte quelle che sono figlie della pietà – sottolinea Melio -: poverino, costretto in carrozzina, affetto da… Sono termini che rimandano a una visione pesante, sofferta, triste, medicalizzata della disabilità, non facendola passare per quello che è: una caratteristica come qualunque altra. Anche per questo, anziché ‘diversamente abile’ o ‘portatore di handicap’, il termine corretto da usare è ‘persona con disabilità’, perché la persona viene sempre prima di tutto”.