La cannabis è una piante angiosperme a fiore presente nel dibattito internazionale per il suo uso terapeutico. Ecco cosa c'è da sapere
La cannabis è un argomento di estrema attualità, che ciclicamente torna a occupare il dibattito pubblico in Italia (e non solo). Si tratta di un tema abbastanza spinoso, ricco di spunti di riflessione e in grado di inficiare contemporaneamente in diverse aree della società (in primis in campo medico e legislativo). In questo articolo proviamo a rispondere alle domande più importanti.
La cannabis è una pianta angiosperme a fiore, di altezza variabile tra gli 1.5 e i 6 metri, della famiglia delle Cannabaceae. Per migliaia di anni è stata una pianta medicinale di grande importanza, fino a che diversi Paesi nel mondo hanno iniziato a limitarne la coltivazione, l’uso e il consumo, tanto da dare avvio a quello che oggi viene comunemente chiamato proibizionismo della cannabis.
Contrariamente a quanto si crede, la cannabis non è un oppiaceo, poiché deriva (appunto) da piante di canapa. Inoltre la sua classificazione è incerta: da una parte, infatti, gli esperti riconoscono l’esistenza di un’unica specie, la Cannabis Sativa, la quale a sua volta comprende altre sotto-specie; dall’altra, invece, c’è chi ritiene esistano tre tipologie, cioè la Sativa, l’Indica e la Ruderalis. Per quanto riguarda la tassonomia, ci sono 2 sottogruppi o chemiotipi:
La categoria di composti più elevata presente nella cannabis è quella dei cannabinodi, che possono avere differenze sostanziali in base agli enzimi derivati dai cannabici principali. A ogni modo, gli stessi cannabinodi sono presenti anche nel nostro organismo, e agiscono sui recettori del nostro cervello influenzando appetito, umore, memoria e dolore.
Parlare di cannabis significa parlare di THC, soprattutto a livello legislativo. Come abbiamo visto precedentemente, il THC indica uno chemiotipo che segnala la varietà della pianta destinata a infiorescenze e medicamenti.
È un principio psicoattivo che esercita effetti sul sistema nervoso centrale delle persone, in particolare sulla percezione e l’umore (come euforia e rilassamento). In genere il range di presenza del THC varia dallo 0,2% al 25%, sebbene coltivatori esperti sono in grado di aumentarne il valore, in quanto dipende da diversi fattori: varietà della pianta, scopo della coltivazione, metodi e luogo di coltivazione.
Il THC è al centro di numerosi dibattiti da parte della comunità scientifica, politica e pubblica, soprattutto per valutare con esattezza i pro e i contro della cannabis. Ciò che finora sappiamo è che il THC ha alcune proprietà terapeutiche significative e benefiche, come:
Di fatto, la storia della cannabis inizia all’incirca con l’utilizzo di questa pianta per scopi antireumatici e antinfiammatori, ed è proprio il suo uso terapeutico a essere al centro di numerosi scontri politici. Di contro, troviamo effetti negativi come:
Molto spesso le parole cannabis, hashish e marijuana vengono confuse tra loro, come fossero sinonimi atti a indicare la stessa cosa. Nella fattispecie, non è così. Cerchiamo di capire le differenze sostanziali:
A oggi è molto difficile stabilire con certezza scientifica un perfetto bilanciamento tra effetti positivi e negativi o terapeutici e tossici, in quanto la pianta produce tantissime sostanze (metaboliti secondari) di cui finora ne sono state individuate quasi 750 (numero ancora in aumento).
Oltretutto, molte delle varietà oggi esistenti sono ancora poco conosciute, tanto che non sappiamo nemmeno con certezza quali effetti causano sull’uomo. Tra queste 750, più di 65 appartengono ai cannabinoidi, le molecole che agiscono sul corpo umano, e hanno effetto su:
Per cercare di sbrogliare il bandolo della matassa, nel 2017 la National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine pubblicò un report aggiornato che includeva oltre 10mila studi, grazie ai quali venne confermato che la cannabis è un trattamento assai efficace contro il dolore cronico negli adulti con malattie gravi e contro la nausea e il vomito indotti dalla chemioterapia nei pazienti con il cancro. Altre ricerche (complessivamente non definitive) affermano che la cannabis migliori l’appetito e la perdita di peso nelle persone con Aids e migliori i sintomi della Sindrome di Tourette.
Tra gli effetti collaterali, invece, vale la pena sottolineare che sono meno pericolosi sulla salute umana rispetto ad altre “droghe”. A ogni modo, gli effetti indesiderati sono riscontrabili maggiormente a livello psicologico e neurologico, e sono:
Possiamo anche individuare effetti nel lungo e nel breve periodo:
Un uso continuativo e non controllato della cannabis può causare dei danni non indifferenti, in particolare:
Questi sintomi si verificano negli adulti, ma generalmente si tengono sotto osservazione gli adolescenti, in quanto attraversano un periodo della vita nel quale il cervello e le connessioni neurali sono ancora in via di sviluppo. Dunque, un consumo duraturo ed eccessivo di cannabis potrebbe determinare dei danni non indifferenti a livello cerebrale. Inoltre, a livello respiratorio, il rischio principale è dato dalla bronchite e altri sintomi respiratori, mentre non sono stati riscontranti legami tra tumori e cannabis.
Secondo la quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM5), si può parlare di Cannabis Use associated Disorders (CUD) quando troviamo comportamenti alterati e clinicamente riscontrabili causati dall’uso eccessivo di cannabis. La situazione diventa grave quando la persona è incapace di limitarne l’uso. I sintomi che ci aiutano a capire la presenza di CUD sono raggruppabili in 3 categorie:
Assumere cannabis in gravidanza aumenta il rischio di particolari effetti negativi sul nascituro, come:
Leggi anche: Perché è difficile fare ricerca scientifica sulla cannabis in Italia?
La cannabis terapeutica è un prodotto che, almeno in Italia, può essere realizzata dal farmacista utilizzando la sostanza attiva che si ottiene dalle infiorescenze della pianta. A oggi, tuttavia, non possiamo parlare di una vera e propria terapia, bensì di un trattamento sintomatico di supporto rispetto a quelli standard, nel caso in cui le cure tradizionali non abbiano provocato gli effetti desiderati.
Nel nostro Paese la regolamentazione della cannabis a uso terapeutico è particolarmente stringente. I medici possono prescriverla per uso medico, ma devono essere dei preparati realizzati dal farmacista partendo da coltivazioni autorizzate da un organismo statale. In particolare, possono prescrivere un medicinale a base di estratti di cannabis con l’obiettivo di ridurre sintomi o segni indotti da determinate malattie. A oggi l’impiego è autorizzato per:
Un piccolo punto di svolta arriva nel 2016, quando l’Italia avvia la produzione nazionale a uso medico della cannabis presso lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze. Ancora oggi però resta l’unico centro autorizzato sul suolo nazionale, la cui offerta non è attualmente in grado di ricoprire la domanda.
Da questo stabilimento escono fuori l’FM-2 (prima sostanza attiva a base di cannabis, contenente THC 5-8% e CBD 7,5-12%) e, dal 2018, la varietà FM-1 (con diverse quantità di principi attivi). L’Italia permette anche l’importazione di prodotti dall’estero (principalmente dall’Olanda), previa autorizzazione del Ministero della Salute in base alla procedura richiesta dall’art. 2 del D.M. 11-2-1997.
Per assumere la cannabis terapeutica ci sono solo 2 modi:
Fin qui abbiamo visto come la cannabis a uso medico possa risultare un utile alleato per determinate malattie, principalmente con lo scopo di alleviare il dolore e/o i sintomi, soprattutto nei casi di:
Precedentemente abbiamo constatato che esistono diverse problematiche per consegnare una certezza scientifica sulla relazione rischi-benefici della cannabis in determinate patologie. Ciò comporta anche delle problematiche negli studi scientifici. Facciamo qualche esempio.
Sappiamo che i cannabinoidi hanno proprietà anti-infiammatorie e anti-ossidanti molto importanti, e dunque nelle malattie neurodegenerative come il Parkinson possono determinare un effetto neuroprotettivo contro la perdita neuronale. Ma a oggi, nonostante numerosi test pre-clinici, i risultati non sono ancora complessivamente definitivi per poter autorizzare una terapia vera e propria.
A complicare ancor di più il quadro è la risposta dei pazienti, in molti casi testimoni di miglioramenti della propria salute rispetto al consumo dei farmaci tradizionali. Tutto ciò, però, secondo alcuni esperti, potrebbe essere influenzato dall’effetto placebo, in quanto i pazienti credono di stare meglio perché consapevoli che stanno assumendo cannabis terapeutica. Serviranno quindi ulteriori studi per arrivare a una certezza scientifica.
Questa forma di demenza senile è in realtà al centro di alcune cronache interessanti, in quanto nel 2020 l’azienda MGC Pharmaceuticals e l’Università di Notre Dame a Perth (Asutralia) hanno annunciato la sperimentazione del farmaco CogniCann, che contiene THC e CBD in rapporto 3:2. Lo studio sta riguardando 50 pazienti con demenza e Alzheimer di età superiore ai 65 anni, e proverà a capire quali sono i potenziali benefici comportamentali della cannabis.
Dal 2013 l’Italia consente l’uso di Sativex, un farmaco a base di cannabinoidi (composto da THC e CDB) indicato come terapia aggiuntiva per i pazienti che presentano spasticità moderata e grave data dalla sclerosi multipla. Si tratta di uno spray oromucosale che l’Agenzia Italiana del Farmaco ha inserito nella Classe H, cioè a carico del sistema sanitario nazionale.
Una ricerca condotta tra gennaio 2013 e dicembre 2014 ha dimostrato che la cannabis terapeutica ha effetto sulla spasticità, uno dei sintomi presenti nella Sclerosi Laterale Amiotrofica.
Attraverso la somministrazione di cannabinoidi in spray, che contenevano una stessa quantità di tetraidrocannabinolo (THC) e di cannabidiolo (CBD), uno studio, pubblicato sul Lancet Neurology da un gruppo di ricercatori italiani, ha riscontrato una riduzione del dolore causato dalla rigidità, una riduzione degli spasmi e una migliorata qualità del sonno.
Anche in questo caso non ci sono studi che danno una conferma definitiva sugli effetti positivi della cannabis su pazienti fibromialgici. Tuttavia alcuni trial clinici hanno dimostrato che la somministrazione di tale pianta allevia il dolore e agisce positivamente sui sintomi associati alla sindrome, con miglioramento del sonno e della rigidità.
Alla fine di settembre 2020, durante il 43esimo Congresso Nazionale della Lega Italiana contro l’Epilessia (Lice), sono stati presentati alcuni dati che confermerebbero una relazione benefica tra cannabis ed epilessia. In particolare, la somministrazione ridurrebbe la frequenza delle crisi epilettiche dal 40% al 54%, soprattutto nei pazienti con Sindrome di Dravet e Lennox-Gastaut. In questo caso il farmaco utilizzato è stato l’Epidyolex.
A oggi il proibizionismo della cannabis è ancora un ostacolo molto forte per chi vorrebbe legalizzarla, e dunque sono pochi i Paesi nel mondo che hanno deciso di adottare questa pianta come una terapia. Facciamo qualche esempio:
Gli USA vivono una situazione così particolare che meritano un breve approfondimento. A livello federale, la cannabis è illegale per qualsiasi motivo dal 1937, a causa del Marijuana Tax Act emanato dal presidente Franklin Delano Roosvelt. Tuttavia alcuni stati interni stanno applicando normative che ne consentano almeno l’uso medico.
Nel novembre 2012 gli elettori del Colorado hanno votato a favore della legalizzazione della cannabis per uso personale, fino a 28,35 grammi, oltre a dare l’ok per le licenze di coltivazione e distribuzione a uso creativo.
Successivamente, l’8 novembre 2016 (il giorno dell’elezione di Donald Trump) il 53% degli elettori del Colorado si è espresso a favore della legalizzazione a uso ricreativo attraverso la Proposition 64. Così facendo, il Colorado ha seguito l’esempio di Alaska, Colorado, Maine, Massachusetts, Nevada, Oregon, Vermont, Illinois e Stato di Washington.
In aggiunta il Colorado e lo Stato di Washington sono diventati anche degli esempi per comprendere al meglio l’effetto della legalizzazione della cannabis nella società. Di fatto, in base a una ricerca del 2016 realizzata dall’organizzazione no profit Drug Policy Alliance, è emerso che:
A oggi, la normativa sul tema è affidata a due punti:
Inizialmente, il proibizionismo della cannabis aveva avuto effetti importanti anche in Italia, soprattutto nel campo industriale: la macchina economica industriale basata sulla cannabis aveva subìto dei rallentamenti, soprattutto nella produzione di utensili e per scopi edilizi.
Ora la parziale legalizzazione della canapa industriale ha permesso numerose aziende di trarre un sospiro di sollievo, ma l’incertezza normativa attuale non lascia ancora sicurezza agli imprenditori. In campo medico, dal 2007 la cannabis è legale per uso terapeutico, sebbene non sia né liberalizzata né legalizzata. La legge tuttora in vigore permette solo a determinati pazienti, con determinate condizioni di malattia, di accedere alla cannabis terapeutica. È lo stesso sistema sanitario nazionale a fornirla in 2 modi:
Insomma, a oggi è permessa la prescrizione medica della cannabis terapeutica per la terapia del dolore e altri impieghi. Tuttavia si tratta di una ricetta monouso, con una breve durata di trattamento (massimo 3 mesi) e totalmente a carico del servizio sanitario nazionale. Una piccola svolta è stata data dalla sentenza del 19/12/2019, con la quale la Cassazione ha stabilito che non costituisce reato la coltivazione “di minime dimensioni e svolta in forma domestica, attraverso pratiche rudimentali e su un numero scarso di piante”.
A essere permessa invece è la vendita della cannabis light, in quanto la soglia del THC è fissata tra lo 0,2% e lo 0,5%, e quindi non supera il limite della normativa italiana, fermo al momento allo 0,6%. Il consumo di marijuana invece è illegale, anche se decriminalizzato.
Leggi anche: Walter De Benedetto: una storia sulla cannabis terapeutica
Con il governo Draghi il dibattito politico sulla cannabis è tornato alla ribalta, poiché la delega per le politiche anti-droga è stata consegnata alla ministra delle Politiche Giovanili Fabiana Dadone, di sponda anti-proibizionista.
Facendo diversi passi indietro, però, nel 2019 il senatore Matteo Mantero (M5S) ha presentato il ddl Cannabis Light, una proposta che consentirebbe la coltivazione di 3 piantine di genere femminile nella propria abitazione o in forma associata e il possesso di massimo 15 grammi di marijuana all’interno del proprio domicilio e di 5 grammi all’esterno. Il testo, però, fu bocciato durante il Governo Conte I dalla Lega e da Forza Italia, arenandosi quindi in una fase di stallo.
Ma non è tutto qui, in quanto esistono delle proposte di legge più recenti che vorrebbero modificare alcuni punti legislativi esistente nel nostro Paese. La più nota è quella del deputato di +Europa Riccardo Magi, che punta a depenalizzare le droghe leggere per uso personale e terapeutico.
Per fare ciò, il ddl Magi ha come obiettivo la modifica dell’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti, che stabilisce pene per chi “coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti”. Attualmente, le sanzioni prevedono la reclusione da 6 a 20 anni e la multa da euro 26mila a 260mila euro.
Oltretutto, il ddl Magi renderebbe non punibile con il carcere o con sanzioni amministrative chi “anche senza autorizzazione coltiva un numero limitato di piante di cannabis, idonee e finalizzate alla produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope destinate a un uso esclusivamente personale”.
Quindi la modica quantità di cannabis passerebbe da attenuante ad articolo autonomo depenalizzato: chiunque verrebbe trovato con pochi grammi, non sarebbe neanche arrestato. Così facendo, il disegno di legge proposto da Magi punterebbe a lottare contro la criminalità organizzata, a distinguere droghe leggere e pesanti, a svuotare le carceri e a liberare tribunali e forze dell’ordine da diversi procedimenti.
Oltre al ddl Magi, c’è un’altra proposta di legge depositata nel dicembre 2020 alla Camera dei Deputati da Michele Sodano, ex m5s, ora al Gruppo Misto. Con il suo “Manifesto Collettivo“, il deputato vorrebbe legalizzare l’auto-coltivazione, la commercializzazione e il consumo della cannabis, sul modello degli Stati Uniti d’America. L’obiettivo economico è guadagnare un gettito fiscale nazionale di 10 miliardi di euro l’anno.
I dubbi principali non nascono solo dal momento straordinario di pandemia, ma anche dal fatto che il governo Draghi è formato da una maggioranza eterogenea, che comprende svariate forze politiche, tra cui anche la Lega, che il 9 ottobre 2019 ha depositato una proposta sul tema, a firma Riccardo Molinari, che prevede:
Tutto ciò però è rimasto fermo, e così nel 2021 sono scese in campo altre iniziative. La prima è il testo sulla coltivazione domestica della cannabis che tra i vari punti, come ci ha spiegato lo stesso Magi, prevede una riduzione delle pene per i fatti di lieve entità e che la coltivazione domestica per uso personale non deve avere rilevanza penale. Nel settembre 2021 il testo ha ricevuto l’ok dalla Camera.
Infine un’altra iniziativa degna di nota è il Referendum sulla Cannabis, che ha raccolto 630mila firme, ma che nel febbraio 2022 è stato dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale. Il quesito depositato recitava: “Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, avente ad oggetto ‘Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza’, limitatamente alle seguenti parti:
Leggi anche: Il Referendum sulla Cannabis Legale riguarda anche altre sostanze
Ultima modifica: 21/02/2022