Da diversi anni il terzo lunedì del mese di gennaio viene associato al Blue Monday, il giorno più triste dell’anno. La motivazione è semplice: le feste natalizie sono ormai finite, la routine quotidiana è ripresa, i buoni propositi per l’anno nuovo sembrano difficili da rispettare e prima delle prossime vacanze da lavoro e scuola bisognerà aspettare parecchio.
Ecco quindi che il Blue Monday sembra avere un presupposto umano condivisibile, tanto che oggi si rischia di parlare anche di sindrome, depressione e ansia, generando però confusione. Perché, alla fine della fiera, si è scoperto che il Blue Monday è stata semplicemente una trovata pubblicitaria priva di qualsivoglia fondamento scientifico.
All’interno di questa guida, scopriamo come nasce il Blue Monday, che giorno è, se cambia in base all’anno e se possiamo effettivamente parlare del giorno più triste dell’anno.
Chi ha inventato il Blue Monday e come si calcola?
Secondo quanto ricostruito dal sito di fact-checking Snopes, il Blue Monday non ha alcun fondamento scientifico, e la sua origine è da riallacciare a una semplice campagna pubblicitaria un po’ sfuggita di mano.
Il Blue Monday si diffuse nel 2005, anno in cui venne associato al 24 gennaio attraverso una presunta formula matematica capace di individuare il giorno più triste dell’anno. Il calcolo si baserebbe su fattori come meteo, tempo trascorso dal Natale, buoni propositi dell’anno nuovo non andati a buon fine e debito. Tale formula è stata attribuita allo psicologo Cliff Arnall dell’Università di Cardiff in Galles, all’epoca tutor part-time per studenti serali.
La formula sarebbe la seguente: C(P+B) N+D, dove C sta per temperatura media, P per i giorni trascorsi dall’ultima busta paga, B per i giorni fino al prossima festività, D per le ore medie di luce diurna e N per il numero di notti durante il mese. Dunque, attraverso questa formula, sarebbe possibile calcolare il giorno con il più alto fattore di depressione.
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Il Blue Monday esiste?
Ci sono due aspetti fondamentali di questa storia che ci aiutano a intuire che il Blue Monday non esiste, e addirittura non sarebbe quantificabile. Innanzitutto, scrive sempre Snopes, si scoprì che la formula sopracitata fu commissionata da un’agenzia di viaggi al fine di “analizzare quando le persone prenotano le vacanze e le tendenza in fatto di vacanze”, in base alle dichiarazioni di Alex Kennedy, portavoce di Porter Novelli, agenzia di relazioni pubbliche.
Inoltre, come spiega anche il The Guardian, questa formula non ha alcuna base scientifica, in quanto include variabili che non sono facilmente quantificabili. E anche se fosse possibile quantificarle, lo studio andrebbe ripetuto di anno in anno, “per i successivi 30 anni circa”. In questo lasso di tempo però, le persone coinvolte nello studio sarebbero cambiate, così come i fattori, e dunque sarebbe necessario trovare “nuovi soggetti mantenendo i dati coerenti”. Un’impresa.
Infine, c’è la questione legata al protagonista di questa storia, il dottor Arnall, che nel corso degli anni si è fatto conoscere nuovamente per la creazione di altre formule attraverso le quali avrebbe scoperto il giorno più felice dell’anno e quello migliore per cambiare la propria vita. In entrambi i casi, Arnall ha lavorato con degli sponsor, prima con l’azienda Wall’s e poi con la campagna governativa Get On, come riporta sempre il The Guardian.
Il Blue Monday oggi
Nonostante la bufala del Blue Monday sia stata ampiamente sdoganata, è riuscita comunque ad attecchire nel mondo dei social e del marketing pubblicitario. Non è un caso che ancora oggi possiamo incontrare iniziative pubblicitarie dedicate a questa giornata, e non lo è neanche che arrivino principalmente dai social media, dove la fake news ha circolato senza controllo.
Insomma, non esiste un giorno universalmente triste: ciascuno di noi vive momenti di difficoltà e tristezza in modo unico e personale, influenzato dalle proprie esperienze, circostanze e stato emotivo. Attribuire il nostro malessere a un’etichetta generica come il “Blue Monday” può essere fuorviante e non aiuta a comprendere le vere cause del nostro stato d’animo. È essenziale, invece, riconoscere i segnali del nostro benessere mentale e considerare con serietà ciò che proviamo.
Se ci sentiamo sopraffatti, tristi o ansiosi per un periodo prolungato, non dobbiamo cercare giustificazioni o “espedienti scientifici”. La cosa più utile è fermarsi a riflettere sul proprio stato emotivo e, se necessario, rivolgersi a uno specialista della salute mentale. Parlare con uno psicologo o un terapeuta non è un segno di debolezza, ma un atto di cura verso se stessi.
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