“Anna“, nome di fantasia di una donna italiana di 55 anni con sclerosi multipla secondariamente progressiva, è diventata la prima persona in Italia a morire lo scorso 28 novembre attraverso il suicidio assistito con il pieno supporto del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Questo evento ha segnato un momento significativo nel contesto del dibattito sul fine vita in Italia.
Nonostante questa notizia apra uno spartiacque importante, Anna ha comunque dovuto combattere un’intensa battaglia legale e sanitaria. Già nel 2022 infatti la donna fece richiesta per il suicidio assistito, ma solo qualche settimana fa, attraverso un’ordinanza del Tribunale di Trieste, ha potuto completare la procedura così come prevista dalla sentenza Cappato-Antoniani della Corte Costituzionale.
Come riporta l’Associazione Luca Coscioni, Anna ha voluto lasciare un ultimo messaggio: “Anna è il nome che avevo scelto e, per il rispetto della privacy della mia famiglia, resterò Anna. Ho amato con tutta me stessa la vita, i miei cari e con la stessa intensità ho resistito in un corpo non più mio. Ho però deciso di porre fine alle sofferenze che provo perché oramai sono davvero intollerabili. Voglio ringraziare chi mi ha aiutata a fare rispettare la mia volontà, la mia famiglia che mi è stata vicina fino all’ultimo. Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di poter scegliere”.
Come funziona oggi il suicidio assistito in Italia?
In Italia non esiste una vera e propria normativa specifica sul suicidio assistito, ma tutto si regge attraverso la sentenza 242/19 Cappato-Antoniani della Corte Costituzionale, relativa alla storia di dj Fabo. In base a questo testo, in Italia è permessa l’autosomministrazione da parte del paziente del farmaco letale solo se:
- sia capace di autodeterminarsi;
- con una patologia irreversibile;
- che tale malattia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la persona reputi intollerabili;
- che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale.
Nonostante questa sentenza, sono molti i casi in cui la macchina della giustizia ha frenato la sua reale applicazione, soprattutto per via delle verifiche approfondite che SSN e Comitati Etici portano avanti. Esplicativa è la storia di Sibilla Barbieri che, dopo diverse peripezie legali, scelse di volare in Svizzera per ottenere il diritto del suicidio assistito.
Qual è la differenza tra suicidio assistito ed eutanasia?
A differenza del suicidio assistito, in Italia l’eutanasia non è legale, nonostante in passato il Referendum sull’Eutanasia abbia provato a cambiare la normativa attuale. Chiunque pratichi eutanasia rischia di incorrere nell’articolo 579 del codice penale, che disciplina l’omicidio del consenziente.
Oltre a ciò, l’eutanasia si differenzia per la modalità di esecuzione: in questo caso infatti è il medico a somministrare il farmaco letale al paziente, ed è nota come eutanasia attiva; esiste però anche l’eutanasia passiva, cioè quando il medico si astiene dal praticare cure volte a tenere in vita un malato. Nel secondo caso è molto difficile definire la colpevolezza del reato, in quanto l’articolo 32 della Costituzione Italiana recita che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
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