L'alluvione in Emilia Romagna ha delle cause ben precise, ascrivibili principalmente alle azioni dell'uomo sul pianeta. Facciamo chiarezza
Le immagini dell’alluvione in Emilia-Romagna sono ancora sotto i nostri occhi: acqua e fango ormai dominano diverse cittadine della regione. La stessa Anffas Faenza ad Ability Channel ci ha mostrato in esclusiva video mostruosi: la sede locale è stata invasa dal fango, causando danni probabilmente per decine di migliaia di euro.
Situazione drammatica testimoniata ad Ability Channel anche da Simone Baldini, l’ex campione paralimpico che qualche domenica fa si è recato a Forlì per aiutare a spalare il fango: “Non è che vai su una volta e le cose si sistemano, lì c’è da lavorare settimane se non mesi probabilmente”.
Non solo Faenza e Forlì, ma anche Cesena e alcune zone del Ravennate (tra cui spicca Conselice) sono state vittime di violenti piogge che dalla metà di maggio 2023 hanno causato danni e morti. Finora sono 16 le vittime accertate.
Secondo i dati della Regione Emilia-Romagna, il 25 maggio scorso sono state registrate poco oltre le 20mila persone sfollate (20.756): a scendere è il numero di sfollati nel Ravennate (14.161). Altre statistiche riguardano le vie: sono 714 le strade comunicali e provinciali chiuse alla circolazione, di cui 455 totalmente.
Ci sono però perdite terribili anche per l’agricoltura. I campi ormai non riescono a far defluire l’acqua, addirittura a Forlì il fango si è solidificato. “Un disastro per l’intera regione”, si legge nel comunicato stampa della Regione: “il 42% della superficie agricola utilizzata (Sau) è stato colpito dagli eventi alluvionali”.
In termini economici, le conseguenze sono apocalittiche: “Una prima stima della diminuzione della sola produzione lorda vendibile della fase agricola presenta le situazioni più critiche nelle provincie di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Bologna, per una perdita che potrebbe andare oltre 1,5 miliardi di euro“.
E i contraccolpi si faranno sentire per diverso tempo: “A questa perdita dell’anno vanno aggiunte le perdite di produttività futura per moria delle piante e animali, di superficie agricola per le frane e danni ai mezzi, attrezzature scorte e strutture, più i danni di tutta l’agroindustria”. Ma come mai è accaduto tutto ciò?
Dal 16 maggio 2023 l’Emilia-Romagna e le Marche sono state interessate da piogge torrenziali, che hanno provocato alluvioni, allagamenti, frane e inondazioni di grave intensità ed entità. È il secondo evento meteorologico estremo che colpisce l’Emilia Romagna nell’arco di due settimane.
Secondo gli esperti di 3bMeteo, “in 36 ore sono caduti oltre 120 millimetri di pioggia tra il bolognese e la pianura romagnola, ovvero più del doppio di quello che dovrebbe cadere nell’intero mese di maggio. […] Praticamente la pioggia di tre mesi condensata in un giorno e mezzo”.
Per il meteorologo Edoardo Ferrara, come riporta l’Agenzia Dire, una delle cause è da ricercare nel ciclone mediterraneo “insolitamente intenso per il mese di maggio. Nato dalle coste del Nord Africa, il ciclone ha poi ha poi risalito la nostra Penisola da sud, a iniziare dalla Sicilia, dove lunedì scorso ha generato intensi nubifragi con allagamenti”. L’esperto ha anche parlato di effetto stau, cioè le correnti ricche di umidità si sono scontrate con gli Appennini “scaricando ingenti quantità di pioggia in modo costante nelle stesse zone”.
Secondo l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ci sarebbero altri due elementi che avrebbero incrementato questa situazione: l’innalzamento del livello del mare e i forti venti di bora dalla costa, presumibilmente responsabili di essere stati un ostacolo contro il deflusso delle acque.
Ora viene da chiedersi come mai questo ciclone mediterraneo si è comportato in maniera così insolita, e perché l’Emilia-Romagna adesso si ritrova invasa dall’acqua. Da questo punto in poi affronteremo il tema in base ai diversi argomenti che, in queste ultime settimane, hanno alimentato il dibattito.
L’alluvione in Emilia-Romagna hanno aperto un dibattito linguistico sul fatto di parlare di maltempo o crisi climatica – iniziato da circa un anno per via delle azioni di Ultima Generazione. Proviamo a fare il punto della situazione.
In un’intervista a Repubblica, il presidente di AMPRO (Associazione meteo professionisti) Pierluigi Randi ha spiegato che “la situazione è davvero preoccupante, anche per il futuro”, e ha un nome e cognome: crisi climatica.
“Se andiamo indietro nel tempo – ha dichiarato l’esperto – negli ultimi due anni abbiamo avuto tre eventi estremi di segno opposto: due anni di siccità grave e poi in quindici giorni due eventi di pioggia estrema. Questo è un segnale chiaro della crisi del clima: un singolo episodio non è attribuibile al surriscaldamento, ma eventi estremi in sequenza, di un segno o dell’altro, sì. Tre indizi fanno una prova. Non è normale avere due eventi a distanza così breve: di solito hanno tempi di ritorno secolari, mai successo che si verifichino così vicini, in appena due settimane”.
“La crisi del clima – ha poi aggiunto – significa perturbazioni che arrivano da radici lontane, per esempio quest’ultima ha pescato, formandosi, persino aria molto calda dall’Africa, addirittura dall’equatore. Quello che accade va visto globalmente”.
Come riporta Valigia Blu, bisogna anche considerare altri tre elementi che protendono verso l’argomentazione della crisi climatica: cambio di circolazione delle correnti; nel Mediterraneo cominciamo ad aspettarci cicloni più rari ma pieni di precipitazioni, e quindi più violenti; maggiore alternanza tra periodi di siccità e alluvione.
Insomma, parlare semplicemente di maltempo è un errore (e un orrore) informativo. Basta considerare, appunto, che prima di questa gravità, l’Emilia Romagna veniva da un periodo prolungato di siccità, che ha reso il terreno arido e secco.
Una siccità che ora viene pagata a caro prezzo: i terreni dell’Emilia-Romagna infatti fanno fatica ad assorbire l’acqua. Così meno capacità di assorbimento dei terreni comporta zone allagate, in altri casi addirittura la solidificazione del fango, rendendo impervio il recupero del terreno.
Inoltre va considerato che l’aumento globale delle temperature modifica anche il ciclo dell’acqua del Mediterraneo: a causa dell’aumento del caldo, l’evaporazione è più rapida e intensa, comportando appunto cicloni più violenti.
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Fin qui abbiamo compreso che la crisi climatica gioca un ruolo nevralgico tra le cause dell’alluvione in Emilia-Romagna, ma ci sono anche altri fattori da tenere in considerazione. Uno dei quali riguarda le azioni dell’uomo sul pianeta (che, a sua volta, influenzano la crisi climatica). Ma andiamo con ordine.
In un’intervista ad AGI, la ricercatrice di Ispra Francesca Giordano ha affermato che “il cambiamento climatico amplifica le conseguenze dei dissesti di un territorio molto fragile. Senza dimenticare gli errori legati a una gestione non attenta del territorio stesso a partire dalla insufficiente manutenzione dei corsi d’acqua fino all’eccessivo consumo del suolo”.
La ricercatrice sottolinea comunque che la crisi climatica gioca un ruolo rilevante in questo contesto. “Senza il cambiamento climatico – ha dichiarato l’esperta – questi eventi ci sarebbero ripetuti ogni 50, 100 anni. Invece ora sono più frequenti. Ma derivano da problemi pregressi come ad esempio una gestione del territorio non sempre oculata”.
Insomma, c’è stata mancata prevenzione, cioè sono mancati tutti quegli elementi atti ad evitare danni di questa portata. Cementificazione, urbanizzazione, consumo del suolo e dissesto idrogeologico sono solo alcuni dei temi che bisognerà approfondire nei prossimi anni.
Ma come mai in Emilia-Romagna queste argomentazioni sono così forti? In base a quanto afferma l’Ispra, abbiamo a che fare con una delle regioni italiane con la percentuale più alta di territorio potenzialmente allagabile, poiché si tratta di una Regione figlia di bonifiche: fiumi e torrenti canalizzati, insieme a canali di scolo e irrigazione, hanno determinato un cambiamento importante nel suolo. Tutto a causa dell’attività dell’uomo.
In aggiunta, un recente rapporto dell’Ispra ha evidenziato che la rete dei corsi d’acqua è stata sviluppata su aree morfologicamente depresse: in pratica sono stati posizionati a un livello più basso rispetto al suolo. In aggiunta, i canali sono sopraelevati rispetto al livello di campagna.
A confermarlo a Valigia Blu è Andrea Colombo, responsabile della valutazione e gestione dei rischi idraulici dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po: “Gli argini che hanno ceduto durante questa alluvione sono il risultato delle grandi bonifiche dei primi del Novecento, che avevano come obiettivo quello di recuperare più spazio possibile all’agricoltura”.
Lo stesso Colombo però ha spiegato che, quando si parla di fenomeni naturali, “una messa in sicurezza assoluta non è possibile. Meglio parlare allora di mitigazione del rischio: dobbiamo fare di tutto per abbassare il livello di rischio, ma essendo consapevoli che il rischio zero non esiste. Non esistono soluzioni semplici e immediate: va studiato un mix di interventi, che sia sostenibile sia da un punto di vista tecnico, che economico e sociale”.
A complicare ancora di più il quadro c’è, appunto, il tema della cementificazione. L’Emilia-Romagna è la quarta regione più cementificata in Italia, dopo Lombardia, Veneto e Campania. I dati di Ispra parlano chiaro.
La stessa Francesca Giordano ad AGI ha spiegato che “l’Emilia Romagna è una delle una delle regioni in Italia in cui sono più alti i valori di consumo di suolo anche nei territori a livello alto di pericolosità idraulica. Si costruisce ancora in zona pericolose andando a esporre le popolazioni a un rischio. Ci sono edifici, forse condonati nel tempo, che si trovano a essere a ridosso degli argini dei fiumi. L’impermeabilizzazione del suolo rende il territorio meno in grado di assorbire l’acqua”.
“Laddove non si infiltra nel sottosuolo a causa della cementificazione, l’acqua si accumula aumentando la sua massa e scivolando velocemente sulle superfici impermeabili”, ha sottolineato a Fanpage il professor Paolo Pileri, docente di Pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano. “Si tenga conto di un fatto: se cadono 10 millimetri di acqua su un prato uno solo rimane in superficie; se cadono 10 millimetri di acqua in un parcheggio di un supermercato ne rimangono in superficie 6”.
“Il clima è cambiato – ha poi aggiunto l’esperto – e se non si dedicherà la giusta attenzione alla gestione del territorio le cose non potranno che peggiorare. Ai politici che parlano di maltempo eccezionale dopo ogni tragedia ricordo che tra una bomba d’acqua e l’altra in Italia si continuano a sganciare bombe di cemento”.
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Ultima modifica: 24/07/2023