Il progetto Aktion T4 indica il programma nazista di eugenetica e l'uccisione di persone disabili malattie inguaribili e handicap mentali.
La Giornata della Memoria è l’occasione per ricordare lo sterminio dei disabili, e il progetto noto come programma Aktion T4. Cosa si nasconde dietro questo nome? Cos’è l’eugenetica nazista? La morte di 200.000 e più persone disabili, tanto per cominciare.
Un nome crudo, quasi in codice, che sta ad indicare il Programma nazista di eutanasia voluto da Adolf Hitler che, sotto responsabilità medica, prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili e da handicap mentali. Le cosiddette “vite indegne di essere vissute”. Cosa si nasconde dietro il nome Aktion T4? L’odio, la paura, il dovere di uccidere per poter aver salva la vita.
“Sparta va considerata come il primo stato Völkisch. L’esposizione dei bambini malati, deboli, deformi e la loro distruzione è stata più decente ed in verità migliaia di volte più umana della miserevole follia dei giorni nostri, che protegge i soggetti più patologici a qualsiasi costo, e ciò nonostante toglie la vita – mediante la contraccezione o l’aborto – a centinaia di migliaia di bambini sani, solo per poi nutrire una razza di degenerati carichi di malattie.”
(Adolf Hitler – dal libro Zweites Buch)
Per avere le idee chiare, è importante iniziare distinguendo la genetica dell’eugenetica. La genetica, oggi come un tempo, è una scienza legittima che però all’epoca aveva uno sviluppo limitato, tanto che i suoi principi furono applicati dai nazisti in modo superficiale ed il più delle volte scorretto.
Il termine eugenetica, coniato verso la fine dell’Ottocento, sta a indicare una disciplina che, applicando i metodi di selezione usati per animali e piante, si poneva l’obiettivo di migliorare la specie umana sulla base di considerazioni genetiche. Nonostante i suoi successivi richiami alle leggi della genetica stessa, l’eugenetica non ha alle proprie basi uno status scientifico.
Questa disciplina, strettamente correlata al darwinismo sociale e che all’inizio del XX secolo aveva preso piede in diverse nazioni come gli Stati Uniti, la Germania e il Regno Unito, era suddivisa in:
Tutto questo, ruotava attorno a concetti di “razzismo scientifico” ed “igiene razziale” secondo i quali il Volk, ovvero il popolo costituito da individui accomunati da caratteristiche culturali, razziali e genetiche (e che per questi motivi doveva essere tutelato), avrebbe dovuto sopravvivere e migliorarsi. Se necessario, anche a discapito dei diritti propri dell’essere umano, come quello alla vita.
E’ importante sottolineare come l’eugenetica in generale (non solo quella nazionalsocialista, ma anche di altri paesi europei e degli Stati Uniti) non fosse rivolta alle persone con problemi fisici o motori (ad eccezione dei casi gravi), ma esclusivamente a coloro che presentavano deficit mentali o intellettivi, problemi psichiatrici o malattie ereditarie.
Per trovare una spiegazione a questo è sufficiente pensare al Ministro della Propaganda dell’epoca, Joseph Goebbels, soprannominato “il diavolo zoppo” per via della sua deformità. Goebbels infatti possedeva una gamba più corta dell’altra, difetto che lo portò a zoppicare per tutta la vita.
“Lo Stato deve vigilare affinché solo le persone sane abbiano figli… Qui lo Stato deve agire come il custode di un futuro millenario… Esso deve dichiarare inadatti alla procreazione tutti coloro che sono visibilmente malati o che hanno ereditato una malattia e possono quindi trasmetterla a loro volta.”
Sembrerà assurdo, ma le idee sulla sterilizzazione coatta non furono proprie del movimento nazionalsocialista, sebbene fu quello che le espresse in maniera esponenziale rispetto al resto del mondo. L’idea di sterilizzare coloro che soffrivano di disabilità ereditarie era ampiamente condivisa anche negli Stati Uniti, in Svezia, Svizzera e diversi altri paesi. Basti pensare che solo in Svezia, tra il 1935 e il 1976, vennero sterilizzate circa 62.000 persone.
Anche gli Stati Uniti hanno alle proprie spalle una storia di sterilizzazione coatta (a volte anche illegale) applicata per lo più a quello che era considerato il ceto inferiore della società. Inoltre, negli USA l’eugenetica razziale aveva avuto un riscontro importante, e molti si erano adoperati affinché la pratica fosse applicata ad un gran numero di criminali e di malati mentali. Il tutto per paura di una “degenerazione nazionale” e della minaccia alla sanità delle “razze civilizzate”.
A ogni modo, nonostante l’animato interesse mostrato da paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti per questo tipo di pratica, i sistemi politici di questi paesi, a differenza della Germania, davano ai cittadini la possibilità di far ricorso alla legge (nella Germania nazista la legge significava il Führer). È facile comprendere come, in presenza di un regime autoritario come quello nazionalsocialista, non ci fossero ostacoli a procedure come la sterilizzazione: l’intero regime nazista fu costruito su una visione medica che richiedeva una purificazione razziale che dalla sterilizzazione, inevitabilmente, avrebbe condotto all’eccidio di massa.
L’idea di mettere in moto una politica di “igiene razziale” era nei progetti del Führer sin dall’inizio. La profonda repulsione che provò per tutta la vita nei confronti dell’handicap mentale, influenzata non solo dal movimento eugenetico ma anche dai canoni di bellezza e purezza con cui era cresciuto, lo portò a considerare i disabili coloro “che si insudiciano di continuo” e che “mettono i loro stessi escrementi in bocca”.
Egli infatti considerava i disabili come un qualcosa di estraneo al corpus razziale germanico, e per questo motivo la necessità di ripulire la razza tedesca da coloro che non erano nemmeno considerati umani, risultava pressante e fondamentale.
Una volta giunto al potere nel 1933, il regime nazista non attese, ed implementò sin da subito le prime politiche di igiene razziale. Di lì a poco infatti, il Ministro degli Interni Wilhelm Frick introdusse una prima legge sulla sterilizzazione che solo tre settimane dopo entrò in vigore e fu poi ampliata da alcuni emendamenti nello stesso anno.
Questa legge, che fissò l’orientamento di fondo per l’approccio medico del regime alle “vite senza valore“, stabiliva la sterilizzazione forzata di persone affette da malattie ereditarie e condizioni patologiche come:
Inevitabilmente, sulle diagnosi e sulle decisioni intraprese le considerazioni politiche incidevano di gran lunga, come fu chiarito da una direttiva di Martin Bormann (uno stretto collaboratore del Führer) nella quale era specificato che nel formulare una diagnosi di debolezza mentale era necessario tener conto del comportamento morale e politico della persona.
Il progetto, che risentì in vario modo di correnti e vicende politiche dell’epoca, avrebbe previsto effettivamente un numero di interventi compreso fra 200mila e 350mila.
Affinché la legge fosse applicata, vennero istituiti dei veri e propri Tribunali per la sanità ereditaria, ai quali furono demandate le decisioni sulla sterilizzazione. Della commissione che aveva il compito di decidere chi sottoporre a sterilizzazione e chi no, facevano parte 3 membri: due erano medici (con presumibili legami con il Partito) e il terzo era un giudice distrettuale che aveva anche il ruolo di Presidente e amministratore (anch’esso con ogni probabilità vicino al regime).
Tutti coloro che lavoravano all’interno di una Casa di cura, un Ospedale statale, un Istituto Psichiatrico o in una Scuola per disabili, aveva il dovere, indipendentemente dalla professione svolta, di riferire ai funzionari dei Tribunali i nomi di coloro che rientravano nelle categorie da sottoporre a sterilizzazione (in questo modo il personale sanitario era tenuto a violare apertamente il Codice Deontologico che, tra i vari doveri della professione, impone l’obbligo alla riservatezza dei dati del paziente).
La maggior parte dei medici tedeschi non protestò contro l’applicazione della legge, ritenuta conforme alle idee predominanti del tempo. I procedimenti chirurgici prediletti per la sterilizzazione furono la legatura dei dotti deferenti nell’uomo e quella delle tube ovariche nelle donne.
Come già detto, all’epoca la maggior parte dei medici approvò le Leggi sulla sterilizzazione, considerate in accordo con la conoscenza medica e genetica del tempo circa la prevenzione delle malattie ereditarie.
Con il tempo, in alcuni manuali delle Facoltà di Medicina tedesche, si iniziò a configurare una nuova figura del medico come colui che non doveva limitarsi semplicemente alla cura dei malati, ma doveva diventare un vero e proprio “coltivatore di geni sani”, un “soldato della biologia”. Inoltre, non bastava essere un membro del Partito: il medico doveva credere fermamente nelle “Leggi biologiche” che applicava, avendo anche il dovere di professarle.
Su queste basi, non ci volle molto a creare una nuova classe medica, la cosiddetta Gleichschaltung, a cui tutti i medici praticanti la professione dovevano appartenere. Le società mediche esistenti prima dell’avvento del nazismo vennero sciolte e convogliate all’interno della Camera dei Medici del Reich, al cui capo vennero designati quei medici veterani che più di tutti avevano mostrato fedeltà al Partito e quindi al Führer. Si andò così a formare la Lega dei Medici Nazionalsocialisti Tedeschi, in contrapposizione alla Lega dei Medici Socialisti.
Bisogna chiedersi però, il perché la classe medica fu una delle professioni con la maggiore percentuale di adesione al Partito. Senza dubbio, il legame tra la classe medica ed il nazismo fu dovuto da un lato alle tendenze autoritarie e nazionalistiche intrinseche nella professione stessa, e dall’altro all’attenzione posta dal Regime nei confronti della biologia da cui scaturì una politica ad impronta biomedica di risanamento nazionale.
La volontà di Hitler era quella di lanciare un programma di eugenetica non appena salito al potere, ma la consapevolezza che, almeno inizialmente, l’opinione pubblica tedesca non avrebbe compreso una tale scelta, lo spinse ad aspettare.
In effetti, lo scoppio della guerra rappresentò il momento ideale per realizzare il progetto Aktion T4, fornendo ulteriori giustificazioni a delle idee ben radicate: le persone disabili, anche se sterilizzate, necessitavano di un’assistenza continua e quindi del ricovero presso Case di cura o Istituti, avvalendosi così di risorse che sarebbero state molto più utili ai feriti di guerra o agli sfollati delle città assediate.
E se in tempi di pace era stato a malapena tollerato che i disabili sopravvivessero grazie alle risorse dello Stato senza dare il minimo contributo alla comunità, tutto ciò in tempo di guerra era assolutamente inammissibile.
In Germania come in altri paesi, tra i quali troviamo ancora gli Stati Uniti, cominciò a farsi largo un pensiero più radicale, la possibilità di porre fine e delle esistenze vuote, inutili e dannose. Ma mentre la tradizione angloamericana dell’eutanasia sottolineava il diritto di morte della persona come rivendicazione suprema dell’essere umano, l’ideologia nazista era ben più radicale: lo Stato aveva il diritto di uccidere per il bene del Volk. Si trattava di una vera e propria necessità.
Il ragionamento, per molti, era semplice: i giovani migliori morivano in guerra, causando una perdita incommensurabile di geni buoni per il Volk; al contrario, i geni di coloro che non erano in grado di combattere perché malati (che ovviamente erano considerati i geni peggiori) avevano la possibilità di proliferare liberamente, accelerando il processo di degenerazione biologica e culturale.
Affinché l’ideologia nazista prendesse piede nella popolazione arrivando a coinvolgere il numero maggiore possibile di persone, nel periodo tra il 1933 e il 1939 il Regime mise un piedi un vero e proprio programma propagandistico. Attraverso opuscoli, poster e film si mostrava il costo di mantenimento degli Istituti che ospitavano i malati considerati incurabili e, allo stesso tempo, si sottolineava come, quelle stesse risorse, sarebbero potute essere impiegate a favore del progresso del popolo tedesco “sano”.
Per ciò che riguarda il cinema, i primi film come Das Erbe (l’Eredità) erano più che altro didattici, poiché mostravano da un punto di vista medico-scientifico le conseguenze sociali e sanitarie delle patologie ereditarie. Ma con il tempo, si approdò a proiezioni che trattavano specificatamente dell’uccisione medica, cosicché l’opinione pubblica tedesca potesse lentamente accettare quell’idea di “eutanasia” (termine con cui era indicato l’eccidio di persone disabili).
Un altro settore di intervento fu quello della scuola e dell’educazione, dove gli studenti di trovarono a risolvere problemi di aritmetica del genere:
“Un pazzo costa allo Stato 4 marchi al giorno. Uno storpio 4,50, un epilettico 3,50. Visto che la quota media è di 4 marchi al giorno e i ricoverati sono 300.000, quanto si risparmierebbe complessivamente se questi individui venissero eliminati?“
Questo tipo di pressione intellettuale sui giovani, era esercitata anche su un altro fronte, ovvero attraverso la potente organizzazione Hitler Jugend (la Gioventù Hitleriana, alla quale era obbligatorio iscriversi) che coinvolgeva i ragazzi tedeschi di età compresa tra i 10 e i 18 anni.
Verso la fine del 1938, in seguito al cosiddetto “Caso Knauer” che segnò un punto di svolta radicale per ciò che riguarda l’inizio del programma di sterminio dei disabili, venne istituito il Comitato del Reich per il rilevamento scientifico di malattie congenite ed ereditarie gravi, l’organo che aveva il compito di provvedere segretamente all’ “eutanasia” dei bambini disabili”.
Poco più tardi, nel 1939, il Ministero degli Interni ordinò che tutto il personale sanitario operativo negli ospedali tedeschi riferisse di ogni caso di bambino nato con malformazioni gravi, come la Sindrome di Down, l’idrocefalia, la paralisi e le condizioni spastiche. Inizialmente la segnalazione riguardava tutti i bambini di età inferiore ai tre anni, ma di lì a poco l’età salì, andando a stento a differenziarsi da quella adulta.
Alle famiglie, come avvenne poi con i disabili adulti, veniva detto che i loro cari sarebbero stati trasferiti in dei luoghi di cura più adatti alle loro esigenze, il più delle volte vicino casa.
Nel caso dei bambini, questi sarebbero stati trasferiti in Centri pediatrici dove avrebbero potuto ricevere cure migliori e innovative. E quando chiedevano di potersi mettere in comunicazione con loro, venivano addotte delle scuse inerenti il percorso di cure che i pazienti dovevano seguire, e che quindi il distoglierli dalle loro attività li avrebbe “danneggiati”.
I bambini inviati presso questi Centri venivano tenuti in osservazione per qualche settimana e poi uccisi. I certificati di morte che venivano in seguito consegnati alle famiglie, adducevano le cause più disparate, dalla polmonite all’appendicite, alle infezioni. In molti casi tali scuse si mostrarono poco credibili (ad esempio veniva indicata come causa di morte l’appendicite in bambini a cui era stata asportata in precedenza), ed iniziarono a sollevare il sospetto dei genitori ai quali, ad ogni modo, non veniva lasciata scelta. Chi si rifiutava di consegnare i propri figli rischiava di perderne la custodia o, nei casi delle famiglie più insistenti, di morire.
A tre “esperti medici” veniva chiesto di dare un giudizio sull’opportunità o meno di “eutanasia” senza che venisse effettuato alcun esame o controllo. Le decisioni venivano registrate su un apposito modulo: se un esperto era a favore dell’applicazione del trattamento (che significava l’uccisione del bambino) metteva un segno + ; in caso contrario, metteva un segno – . Lo stesso modulo doveva essere compilato dagli altri membri della commissione, ed affinché un bambino venisse ucciso occorreva l’unanimità dei tre medici.
Le uccisioni avvennero per lo più attraverso l’impiego di un cocktail di farmaci (sedativi, oppioidi, tranquillanti) che venivano somministrati a dosi aumentate per alcuni giorni, o per denutrizione.
L’estensione del programma di eccidio dai bambini agli adulti significò ufficializzare l’uccisione medica all’interno di una politica generale ufficiale enunciata nell’ottobre 1939 Hitler con il “Decreto del Führer” (che venne poi retrodatato così da farlo coincidere esattamente con lo scoppio della guerra).
Sebbene Hitler e gli altri capi nazisti ritenessero necessaria tale manovra, si rendevano conto, al contempo, che il pubblico tedesco non sarebbe stato in grado di affrontarla. Per questo motivo il decreto fu scritto nella cerchia dei collaboratori più stretti e fidati del Führer, così da non destare i sospetti delle masse. Non si trattava quindi di un decreto formale che aveva a tutti gli effetti il valore di legge (che avrebbe inoltre potuto dar alimento alla propaganda nemica), almeno da un punto di vista strettamente burocratico.
A quel punto, era necessario selezionare i medici che avrebbero portato a termine la parte operativa del programma. Fra i criteri di selezione adottati c’erano il grado di fedeltà al regime, il riconoscimento di cui godevano nella loro professione e la “simpatia” nei confronti delle pratiche eugenetiche più radicali.
Ma da cosa deriva il nome Aktion T4? La lettera T e il numero 4 sono l’abbreviazione di Tiergartenstrasse 4, l’indirizzo dove a Berlino era situato il quartier generale dell’ente pubblico per la salute e l’assistenza sociale. In realtà al tempo i nazisti usavano un nome in codice, che molto probabilmente era EU-Aktion (eu significava eutanasia).
All’inizio dell’ottobre 1939 tutti gli Ospedali Statali (è da ricordare che la pratica eugenetica era valida solo all’interno di strutture pubbliche), le Case di Cura, gli Istituti Psichiatrici e le Case d’Infanzia ebbero l’obbligo di riportare su dei moduli appositi i nomi di tutti i pazienti istituzionalizzati da cinque anni o più, i “pazzi criminali” e tutti coloro ai quali era stata diagnosticata un’anomalia tra le seguenti: schizofrenia, epilessia, disturbi senili, paralisi, ritardo mentale, encefalite, corea di Huntington e le forme gravi di sifilide.
In caso di mancata collaborazione da parte delle strutture, ad occuparsi della compilazione di tali moduli erano appositi team di medici del Regime i quali, il più delle volte, davano ai pazienti dei giudizi assolutamente negativi.
Come nel caso dei bambini, a decidere chi doveva vivere e chi invece morire era una commissione che aveva il semplice compito di mettere un + o un – accanto al nome della persona, senza ovviamente effettuare prima alcun tipo di accertamento.
Se inizialmente gli adulti erano uccisi, al pari dei bambini, con iniezioni letali o comunque ricorrendo all’impiego di farmaci diversi, con il passare del tempo questo metodo si dimostrò lento ed inefficace.
Fu lo stesso Führer a proporre al Ministro della Sanità del tempo, Karl Brandt, l’impiego di un mezzo molto più efficace e meno costoso: il monossido di carbonio. L’uccisione attraverso questo gas avveniva in apposite camere a gas e presto venne estesa a tutti i centri dell’Aktion T4; in seguito, i corpi venivano ammassati in grandi forni e cremati, il più delle volte gli uni insieme agli altri. E’ facile immaginare quindi che le ceneri ricevute dai parenti, non fossero mai realmente quelle del congiunto defunto.
Dato il coinvolgimento della classe medica nel Programma Aktion T4, ogni certificato di morte emesso, come nel caso dei bambini, doveva essere falsificato. In genere venivano individuate delle cause di morte che fosse in accordo con la condizione fisica precedente della persona, anche se non di rado capitava che si verificassero errori non trascurabili che non facevano altro che alimentare la consapevolezza, nella popolazione, che stava accadendo qualcosa di disumano.
Dato che con il tempo i mezzi impiegati per il programma di sterminio erano sempre più drastici ed efficaci, c’è da chiedersi se il segreto circa l’operazione sia stato mantenuto a lungo o meno. Non è difficile immaginare che con il tempo l’inganno venne svelato fino a diventare estremamente evidente; d’altronde, quando si cremano centinaia di corpi all’interno di enormi forni, è difficile credere che le prove non siano evidenti.
“Si dice che il denso fumo che esce dall’edificio del crematorio sia visibile su Hadamar ogni giorno“.
“Quando l’impianto lavorava a piena capacità…i camini fumavano giorno e notte. Ciocche di capelli salivano in aria attraverso i camini e si posavano in strada“.
Nel corso del 1940 cominciarono a spargersi voci ufficiali su quanto stava accadendo, e molte famiglie così decisero di proteggere i propri familiari curandoli a casa, spesso a fronte di grossi sacrifici. Iniziarono poi a giungere, al Ministero della Giustizia e alla Cancelleria del Reich, lettere di protesta anche da membri interni al Partito. La situazione iniziava a degenerare, e il malcontento della popolazione cominciava ad essere più che evidente.
Furono pochi gli psichiatri che opposero resistenza al programma di uccisione medica, e coloro che lo fecero furono per lo più poco decisi ed insistenti. Per salvare delle vite, alcuni tentarono di minimizzare la diagnosi, altri l’inabilità al lavoro di pazienti con disabilità intellettuali, altri ancora convinsero le famiglie ad evitare di trasferire i propri cari in Istituti statali.
Ma quel che convinse poi i gerarchi nazisti a cancellare in maniera ufficiale il progetto non fu l’opposizione da parte degli psichiatri, bensì la resistenza generale della popolazione tedesca, espressa in particolare da alcuni coraggiosi capi religiosi protestanti e cattolici.
Fra coloro che fecero parte della resistenza religiosa si riconoscono due pastori che svolgevano funzioni amministrative non-mediche in alcune Istituzioni mentali. Paul Gerhard Braune e il reverendo Fritz von Bodelschwingh erano entrambi dirigenti attivi della Chiesa Confessionale, in contrapposizione ai Cristiani tedeschi alleati al Regime. L’attività di questi pastori consistevano nell’opporre resistenza ai questionari, nell’esprimere obiezioni ai funzionari nazisti e, quando possibile, nell’impedire che i pazienti venissero consegnati al meccanismo di eliminazione.
Ma la protesta più eclatante contro l’ “eutanasia” venne dal sermone del conte Clemens von Galen, nell’agosto del 1941. Egli riaffermava gli obblighi di coscienza di opporsi all’eliminazione di vite innocenti, usando sempre un linguaggio che potesse essere compreso dalle masse. Il sermone in poco tempo si diffuse nell’intera Germania, tanto che venne addirittura lanciato sotto forma di volantini dagli aerei della Royal Air Force britannica sulle truppe tedesche.
Così i capi nazisti si trovarono a dover affrontare un problema non di poco conto: decidere tra l’imprigionare ecclesiastici eminenti che avevano un grande seguito nelle masse e che quindi avrebbe potuto scatenare reazioni avverse non indifferenti, o il porre fine al programma. Il Regime, su ordine del Führer emise un ordine verbale di mettere fine al Programma Aktion T4. Una pura e semplice formalità, perché l’uccisione dei disabili non terminò, anzi. Proseguì in maniera ancora più drastica.
Si trattava semplicemente dell’ennesimo inganno. A seguito della cessazione formale del Programma, la situazione divenne ancora più incontrollata e caotica, ciò che mutò fu soltanto la gassificazione su vasta scala dei pazienti, che subì un leggero calo. I medici erano ora liberi di scegliere in modo indipendente chi uccidere e chi tenere in vita; in effetti il messaggio che proveniva dall’alto era chiaro: le uccisioni dovevano continuare ma in modo meno vistoso.
In questa fase, le persone (sia adulti che bambini) non erano più uccise dal gas, ma dai farmaci e dalla fame. Si stima che la maggior parte delle uccisioni di bambini ebbe luogo proprio in questo periodo, ovvero dopo la chiusura ufficiale del Progetto di “eutanasia”.
Si arrivò presto ad una situazione paradossale: la disorganizzazione era tale che davvero pochi degli Istituti che erano stati svuotati dei pazienti psichiatrici attraverso il Programma Aktion T4 divennero, come da progetto, ospedali per soldati o feriti.
Durante il periodo di eutanasia selvaggia le uccisioni proseguirono in modo consistente, ed il numero delle vittime aumentò notevolmente.
L’ultima vittima, un bambino di appena quattro anni, venne ucciso a distanza di 15 giorni dall’arrivo delle truppe americane.
“Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.”(Primo Levi – Se questo è un uomo).
Ultima modifica: 26/01/2021