Prima di sapere come si fa la diagnosi dell’acondroplasia, conosciamo la patologia. L’acondroplasia, nota anche come ACP, è una forma di nanismo, un’alterazione che determina uno sviluppo corporeo insufficiente: a non essere particolarmente sviluppati è la cartilagine di accrescimento delle ossa lunghe degli arti. A causa di ciò, la malattia è riscontrabile con gravi disturbi della crescita.
Una persona con nanismo acondroplasico non cresce in maniera regolare, e lo possiamo notare nell’altezza media degli adulti: negli uomini è di circa 130 cm, invece nelle donne è di 125 cm.
La diagnosi di acondroplasia
Diversi anni fa una diagnosi di acondroplasia richiedeva del tempo, in quanto bisognava aspettare la nascita dell’individuo. Oggi però non è più necessario: in linea generale la ricerca della malattia usa osservazioni cliniche e radiologiche, ma per una conferma certa si può utilizzare anche l’analisi genetica. Per questo motivo possiamo riconoscere tre modi di diagnosticare la patologia:
- diagnosi prenatale: ecografia ostetrica (che non è sufficiente a confermare la malattia) e un test genetico su liquido amniotico;
- diagnosi post-natale: valutazione della proporzionalità degli arti, misurazione delle ossa delle gambe e delle braccio, esame a raggi X e scansione profilo genetico;
- test genetico: ricerca la mutazione del gene FGFR3 nel cromosoma 4, che sarebbe alla base dell’acondroplasia (al momento il test diagnostico più attendibile).
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Aspettativa di vita di una persona con acondroplasia
La fase più critica di una persona con acondroplasia è l’immediata nascita o l’infanzia. Un’alta percentuale di nascituri infatti sopravvive solo pochi giorni e, in casi ancora più estremi, nasce morta. In caso di sopravvivenza, la vita di una persona con acondroplasia è piuttosto lunga, anche se nella media generale della popolazione risulta un’aspettativa di vita inferiore a causa della possibile apparizione di malattie cardiovascolari. L’altezza massima che un adulto con acondroplasia può raggiungere è 140 cm.
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