In Italia l'aborto è disciplinato dalla legge 194 del 22 maggio 1978. In questa guida spieghiamo come richiederlo, quanto costa e come si fa
L’aborto è un argomento che suscita intense discussioni, implicazioni etiche, legali e sociali in Italia e nel mondo. Nel nostro Paese la pratica è regolamentata dalla legge 194 del 1978, che all’epoca introdusse la possibilità per le donne di interrompere volontariamente la gravidanza. Questa guida intende esplorare in dettaglio l’aborto in Italia, analizzando la legge 194, le procedure, i documenti necessari, le conseguenze e le diverse opinioni sull’argomento.
Cosa dice la legge italiana sul tema dell’aborto? In Italia l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è garantito dalla legge 194 del 1978, approvata il 22 maggio dello stesso anno. La normativa è composta da 22 articoli e, anche se ci sono stati degli aggiornamenti, non è mai stata modificata radicalmente.
Ma quando si può interrompere una gravidanza? Come stabilisce l’articolo 4, la legge sull’aborto permette alle donne in Italia di ricorrere all’interruzione volontaria di una gravidanza entro i primi 90 giorni dal concepimento per motivi di salute, economici, sociali o familiari.
Dopo questo termine di 3 mesi, la procedura può essere richiesta solo se la gravidanza comporti un grave pericolo per la vita della donna o se vengono rilevate anomalie o malformazioni del feto. Ma quanto costa fare un aborto in Italia? Fino al 90esimo giorno l’interruzione è completamente gratuita.
Ma quali sono le procedure da seguire per richiedere l’interruzione di gravidanza? La legge sull’aborto in Italia specifica che ci sono alcuni step da seguire per ottenere l’accesso a questo diritto: esame delle possibili soluzioni dei problemi proposti; aiuto alla rimozione delle cause che porterebbero all’interruzione della gravidanza; certificazione; invito a soprassedere per 7 giorni in assenza di urgenza, sia entro che oltre i primi 90 giorni di gravidanza.
E che documenti servono per l’interruzione volontaria di gravidanza? Le carte da portare per far valere il proprio diritto all’accesso all’aborto sono:
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In Italia esistono due tecniche per eseguire l’aborto: il metodo farmacologico e il metodo chirurgico. Come scrive il Ministero della Salute, nel caso dell’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, la donna riceve un trattamento medico basato sull’assunzione di due principi attivi diversi, a distanza di 48 l’uno dall’altro: il mifepristone, conosciuto da molti come RU486 (interrompe la gravidanza), e la prostaglandina (espelle l’embrione).
Per quanto concerne invece l’altro metodo, quello chirurgico, si tratta di un intervento praticato in anestesia generale o locale dalle strutture pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale o da strutture private convenzionate e autorizzate dalle Regioni. La donna viene ricoverata in day hospital e può essere richiesto gratuitamente l’inserimento della spirale o dell’impianto sottocutaneo. Dopo circa 20 giorni dall’intervento, sarà necessario ripetere il test di gravidanza in laboratorio.
A livello pratico le conseguenze dell’aborto in Italia sono molto rare quando viene eseguito da personale specializzato e all’interno di strutture preposte. In base a quanto scritto nel Manuale MSD, addirittura le conseguenze negative sono meno frequenti dopo un aborto che dopo un parto a termine. Le complicanze possono variare a seconda del metodo utilizzato:
L’istituto per lo studio delle psicoterapia invece sottolinea che possono esserci anche delle conseguenze psicologiche, tra cui viene segnalata la Sindrome post-abortiva (SPA), che rientra nei disturbi post-traumatici da stress, che può insorgere subito dopo l’IVG oppure dopo anni. I sintomi principali sono ansia, depressione, disturbi dell’alimentazione, disturbi nella relazione affettiva e nella sfera sessuale, disturbi del sonno e flashback dell’aborto.
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Nonostante in Italia esista una legge sull’aborto, a oggi abbiamo purtroppo esistono numerose barriere di accesso, come gli obiettori di coscienza o la mancanza di strutture adeguate. Ciò può portare molte donne a desistere dalla possibilità di far valere un proprio diritto.
Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità, datati 2021 ma presentati nel 2023, in Italia sono stati eseguiti 63.653 interruzioni volontarie di gravidanza, parti a un tasso di abortività di 5,3 IVG ogni mille donne tra i 15 e i 49 anni, un dato inferiore al 5,4 registrato nel 2020, uno tra i più bassi a livello globale.
Le principali caratteristiche delle donne che intendono abortire sono diverse: il tasso più alto resta nelle donne tra i 25 e i 34 anni, ma c’è stato un aumento del tasso di abortività anche tra le minorenni (2,1 nel 2021, 1,9 nel 2020). Complessivamente invece le donne con meno di 18 anni che hanno fatto ricorso all’IVG sono il 2,7% di tutti gli interventi praticati in Italia.
L’ostacolo principale all’IVG è dato dalle obiezioni di coscienza, che nel 2021 conferma di essere ancora molto diffuse: 63,4% dei ginecologi, 40,5% degli anestetisti e 32,8% del personale non medico.
Essere a favore dell’aborto significa sostenere il diritto delle donne di fare scelte informate e sicure riguardo alla propria salute. Significa riconoscere l’importanza dell’accesso a servizi sanitari sicuri e legali per garantire la salute, la dignità e l’autonomia delle donne.
L’aborto in Italia, regolamentato dalla legge 194, rimane un tema complesso e sfaccettato. La discussione sull’aborto è una questione di libertà individuale, salute pubblica, diritti umani ed equità sociale. Mentre la società continua a evolversi, è essenziale mantenere un dialogo aperto e informato su questo tema delicato.
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Ultima modifica: 19/04/2024