In Europa l'aborto è un diritto sancito in base alle normative dei diversi Stati membri dell'Unione Europea. Ma ci sono alcune novità
L’aborto è un tema di ampia discussione politica e sociale non solo in Italia, ma anche in Europa e nell’Unione Europea, dove leggi e normative locali di uno Stato o l’altro possono aiutarci a dare un quadro esteso su come sia o meno questo diritto venga tutelato. I Paesi europei che garantiscono l’aborto sono molti, e anche l’UE spinge verso la difesa questo principio, eppure non mancano le eccezioni.
In questo approfondimento esploreremo più da vicino la situazione continentale dal punto di vista normativo, osservando anche il caso italiano, e scopriremo cosa prevede l’Unione Europea in relazione a questo tema.
L’aborto, inteso come interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è un procedimento medico che viene messo in atto per terminare una gravidanza, a seguito però di alcune procedure specifiche ed esami in laboratorio. In Italia esistono due modalità: l’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica (attraverso l’assunzione di due farmaci diversi) e quella chirurgica (intervento effettuato in anestesia generale o locale).
Nell’Unione Europea il diritto all’aborto è a discrezione degli Stati membri, e dunque dipende dalle normative nazionali, che comunque in linea generale tutelano questo diritto, ma non sempre è formalmente garantito: obiettori di coscienza e altre tipologie di restrizioni possono limitare fortemente l’accesso alle donne.
Intanto l’11 aprile 2024 il Parlamento Europeo ha votato a favore dell’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE (336 voti favorevoli, 163 contrari e 39 astensioni). Nel dettaglio, gli eurodeputati chiedono che venga modificato l’articolo 3 della Carta, affermando che “ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero all’aborto sicuro e legale”.
Se da una parte è sicuramente un piccolo passo in più verso una linea comunitaria ed europea in materia, dall’altra bisogna ammettere che la strada tracciata non è priva di ostacoli: qualsiasi modifica alla Carta richiede il voto unanime di tutti gli Stati membri, ma nazioni come Polonia e Malta potrebbero fortemente osteggiare questo percorso.
Probabilmente la scelta del Parlamento europeo di riprendere la strada abbandonata nel 2022 è stata presa dopo quanto accaduto in Francia, che è diventata la prima nazione a inserire il diritto all’aborto nella propria Costituzione.
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L’Unione Europea è composta dalla quasi totalità di Stati membri favorevoli all’aborto, almeno su carta. Di fatto, la maggioranza tutela il diritto all’aborto attraverso le proprie leggi. Spicca ovviamente la Francia, vista la sua recente decisione di introdurre tale diritto nella propria Costituzione, oltre al fatto che non prevede condizioni particolari per il suo accesso.
In altri Paesi europei però, nonostante esista la possibilità di abortire, sono previsti numerosi ostacoli che non garantiscono un accesso facile verso la pratica, come periodi di attesa per motivazioni diverse oppure il counseling obbligatorio: quest’ultimo generalmente è un percorso ha come obiettivo nascosto la volontà di far cambiare idea alle donne che invece vorrebbero abortire.
Invece i Paesi più restrittivi, cioè dove il diritto all’aborto non è direttamente tutelato e garantito, sono due:
In Italia il diritto all’aborto è sancito dalla Legge 194 del 1978, approvata il 22 maggio. Si tratta di una normativa composta da 22 articoli che però nel corso degli anni non è mai stata modificata, e dunque presenta norme che possono essere considerate vetuste.
Ogni Stato membro europeo presenta particolari limitazioni nei confronti delle donne che vorrebbero abortire, e l’Italia non fa eccezione. In base alla legislazione vigente infatti, una donna che vuole ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza gratuita può farlo entro i primi 90 giorni dal concepimento per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Dopo questi 3 mesi, la procedura medica può essere richiesta solo se la gravidanza comporta un pericolo per la vita della donna o per anomalie del feto.
L’accesso all’IVG richiede diversi step (oltre a una serie diversa di documenti): esame delle possibili soluzioni dei problemi proposti; aiuto alla rimozione delle cause che porterebbero all’interruzione della gravidanza; certificazione; invito a soprassedere per 7 giorni in assenza di urgenza.
Dunque, nonostante l’ampia legalizzazione, l’accesso all’aborto resta un campo minato, proprio a causa di tutte queste misure e pratiche. A tutto ciò però bisogna aggiungere che in Italia, come riporta Openpolis, il 64,6% dei ginecologi, il 44,6% degli anestesisti e il 36,2% del personale non medico sono obiettori di coscienza.
Tutte queste dinamiche potrebbero essere le cause principali che nel corso degli anni hanno portato a una graduale e sostanziale diminuzione degli aborti in Italia: ad esempio nel 2021 sono stati registrati 5,8 aborti volontari ogni mille donne, rispetto all’8,1 registrato 10 anni in prima.
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Ultima modifica: 12/04/2024